Antigone – How Dare We di Jani Sever (e Slavoj Žižek)

Un tour de force tra la Storia ed il presente in cui Slavoj Zizek si confronta con il caos del contemporaneo mentre Jani Sever sintetizza una forma linguistica liquida e militante

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Le femministe leggono il mito di Antigone in un determinato modo, i partigiani in un altro, ma nessuno ha ancora provato a problematizzare davvero il personaggio di Antigone. È quello che stiamo provando a fare qui

A pronunciare questa dichiarazione di intenti è Slavoj Žižek, entità diegetica che si muove tra le pieghe di Antigone How Dare We.

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È con lui che, fin dai primi momenti, si confronta lo spettatore: atteggiamento pacato ma risoluto, occhi che guizzano da un lato all’altro dello schermo, gesticolare nervoso, il tutto mentre indossa una maglietta con la scritta I Would Prefer Not To, sintomo inconscio che rimanda a qualcosa che non vorrebbe fare ma che non può fare a meno di portare a termine e sorta di profezia, come si vedrà, su uno dei nuclei centrali del film.

Diretto da Jani Sever, Antigone How Dare We è un film che nega qualsiasi punto di riferimento utile ad identificare la sua natura: non è solo un saggio in forma visivia di Žižek, ma non è nemmeno una semplice messa in scena di The Triple Life Of Antigone, riscrittura della tragedia sofoclea firmata dal filosofo nel 2016.

Piuttosto, il documentario sembra il primo vero contatto con il Reale di Slavoj Žižek, che finora si era limitato a studiarlo a distanza o a rileggerlo nello spazio protetto del cinema. Il filosofo affronta la concretezza di ciò che lo circonda partendo dalle stesse coordinate che gli offre la cultura greca. Egli è una sorta di coro positivo, un’entità che indica la via e al contempo torna ad Antigone legittimato da una Grecia classica che raccontava le stesse storie cambiandone i  dettagli per adattarli ai tempi che cambiavano.

Confrontandosi con il Reale, Žižek tocca con mano il caos che lo caratterizza e ne riemerge portando con sé verità complesse e ambigue ma ideali per questo a descrivere il contesto da cui provengono: forse, afferma il filosofo, è vero che i peggiori capitalisti di oggi erano i comunisti di ieri, forse è vero che, pur con tutti i suoi limiti, il capitalismo liberale offre diritti e libertà che altri contesti sociali non hanno, forse, oggi, Creonte, icona ambigua del capitalismo, è un personaggio ben più positivo di Antigone, icona negativa populista ed estremista.

Colpisce, in primo luogo osservare Slavoj Žižek mentre, in conseguenza della maturazione ideologica che lo caratterizza da qualche anno e nutrito da una sorta di accelerazionismo sui generis, cerca una mediazione, con quel capitalismo a cui si opponeva neanche vent’anni fa, stavolta in prima persona, sporcandosi le mani.

Antigone How Dare We trae il suo senso profondo dalla ricerca di una forma linguistica all’altezza di questa cornice concettuale così ambiziosa, al contempo di confine e dentro al tempo a cui si rivolge.

Il film di Sever parte con l’essere un archivio in movimento del pensiero di Slavoj Zizek. Non è un caso che il filosofo rincorra Antigone fin dai suoi primi scritti, né che il progetto si chiuda su un estratto di una lezione di Lacan ma non può essere casuale nemmeno il fatto che il film si innesti sulla tripartizione Lacaniana tra immaginario (la rappresentazione teatrale) simbolico (le regole del linguaggio teatrale ma anche le leggi sociali su cui l’opera riflette) e reale.

Ad un’osservazione superficiale, lo spazio teatrale pare strutturarsi a partire da un’attualizzazione del teatro politico di Brecht trasportato nell’infosfera e in cui il ruolo pedagogico è affidato al montaggio, che marxianamente storicizza l’azione scenica attraverso l’uso di filmati di repertorio.

La massa critica, tuttavia è costantemente percorsa da tensioni che ne minano le fondamenta.

Non stupisce osservare quanto la dimensione teatrale si apra alle influenze più varie, ragionando per ipertesti e pescando tanto dall’Edipo Re di Pasolini che dalla rigorosa Medea di Von Trier ma al contempo spiazza confrontarsi con uno spazio narrativo che a tratti si apre su voragini di non senso, tra il profilmico che irrompe nel filmico e personaggi che chiaramente considerano il consumismo come parte della loro identità.

Lo stesso destino tocca anche al repertorio, un libero flusso di immagini che mischia lo zapping casuale alle indicizzazione di Youtube, l’ironia di Michael Moore al montaggio eisensteniano, un sistema iconografico incerto sul passo da adottare e affascinato anch’esso da certi strapiombi sull’insensato.

Non stupisce che i momenti finali del progetto siano una perversione al massimo grado non solo della materia del racconto ma anche dell’ideologia che li regge.

A contatto con il contesto liquido, Žižek dà infatti alla sua Antigone tre finali, di cui solo il primo fedele con l’opera originale. Gli altri due sono infatti riscritture dell’epilogo della tragedia che si muovono tra un happy ending e un finale che vede un commando rivoluzionario uccidere Creonte al culmine di un colpo di Stato (e di nuovo eccola la violenza che si fa spettacolo e squarcia il Reale).

Tutto si chiude però soprattutto una resa matura del pensiero militante di Žižek, tanto contrario agli estremismi quanto a favore di un capitalismo illuminato.

Antigone How Dare We è quasi un’entità parossistica, minimale nella forma ma concettualmente deflagrante.

Il film di Sever è un progetto linguisticamente ambizioso e coeso, capace di pensare da zero una grammatica viva, consapevole, ibrida e adatta alla contemporaneità, in un momento storico in cui è opinione diffusa che la sfera linguistica sia satura di stimoli.

Opinione a parte ma al contempo doverosa sul ruolo di Žižek nel progetto, un intellettuale che, al di là di quanto le sue opinioni siano condivisibili, si mette in gioco e soprattutto mette alla prova la tenuta del suo pensiero, lo fa reagire con la Storia ed il presente, fa, in sostanza, ciò che si dovrebbe costantemente fare ma che sempre pochi fanno: militanza cosciente del presente su cui si riflette.

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