Anton Čechov, di René Féret

L’ultimo film di Féret è un ritratto filologico dell’autore russo, troppo ancorato alla scrittura e riverente nella messinscena.

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«I miei personaggi vivono nella noia, consapevoli dei loro insuccessi. Portate il pubblico a quella noia, senza preoccuparvi dell’estetica.» dice Anton Čechov verso la fine del film, dando indicazioni agli attori che stanno mettendo in scena Il gabbiano. E sembra che René Féret, al suo ultimo film, girato nel 2015 prima della scomparsa, abbia seguito questa stessa indicazione nel dirigere questo biopic in costume. Il film procede con ritmo flemmatico, dato da una ricostruzione quasi agiografica della vita dello scrittore, smosso solo dai tagli di montaggio repentini e improvvisi, più che dagli avvenimenti narrati.

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Indubbiamente Féret conosce a fondo Čechov, ma sembra intrappolato nella sua visione affascinata e riverente, troppo fedele al suo soggetto, tanto da condurlo ad una messinscena quasi riluttante ad addentrarsi davvero tra le pieghe più opache dello scrittore. Féret racconta Čechov con riserbo, ed è un racconto trattenuto, che non devia mai da quella strada votata al successo che sembra incombere inesorabile su Anton. Nulla lo può fermare nel suo percorso di realizzazione, incalzato dall’incontro determinante con Grigorovitch e Souvoirine, tra gli editori cardine della Russia di fine ‘800, per arrivare fino al riconoscimento e alla legittimazione del proprio talento da parte di Lev Tolstoj.

Il Čechov di Féret sembra essere avulso da emozioni profonde, seppur la sua scrittura lasci trasparire una sensibilità malinconica e un’intima conoscenza dell’animo umano. Attraversa seraficamente la povertà della famiglia, che mantiene esercitando come medico, o la passione amorosa per la giovane Lika. E persino la morte del fratello Nickolaj a causa della tubercolosi, si rivela determinante per la consacrazione definitiva, avvenuta con gli scritti sulle condizioni disumane dei detenuti nella colonia penale di Sakhalin, in Siberia. Allo stesso modo, il film sembra fluttuare tra tragedie e successi senza smuovere alcunché, troppo ancorato alla scrittura, affidando le emozioni alle parole dello stesso Anton, e non ai gesti, agli sguardi, ai corpi, molto meno trattenuti nei personaggi di contorno. “Il mio cuore è freddo” dice ad un certo punto Anton. Il genio, insomma, può essere tale solo in assenza di passioni, votato unicamente a se stesso, al fuoco sacro della scrittura anche quando si tratta di denuncia sociale. E Féret sembra aver messo in scena quella stessa freddezza, quel distacco emotivo che mantiene lontani. Forse avremmo voluto che seguisse di meno le indicazioni che il drammaturgo impartisce ai suoi attori. E si fosse abbandonato all’amore.

 

Titolo originale: Anton Tchékhov 1890
Regia: René Féret
Intrpreti: Nicolas Giraud, Lolita Chammah, Robinson Stévenin, Jacques Bonnaffé, Jenna Thiam, Brontis Jodorowsky, Marie Féret, Alexandre Zeff, Philippe Nahon, Frédéric Pierrot
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 96′
Origine: Francia, 2015

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2
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Il voto dei lettori
3 (4 voti)
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