"Appartamento ad Atene", di Ruggero Dipaola

Appartamento ad Atene

Dipaola sceglie di non dedicarsi al conflitto bellico in maniera storiografica, lasciando gli eventi storici come sfondo dal quale prendono vita i personaggi, un qualcosa che è sempre presente in qualche modo, che emerge tramite i dettagli e le storie raccontate dai personaggi, ma che si fa esperienza personale di vita vissuta. Ci si concentra, quindi, sui personaggi in quanto esseri umani facenti parte di un nucleo familiare e sulle dinamiche tra di loro.

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Appartamento ad AteneVivere nella propria casa come prigionieri, nella costante paura che il peggio stia per accadere. È quello che succede alla famiglia Helianos durante l'occupazione nazista ad Atene, costretti a “ospitare” il capitano Kalter nel proprio appartamento. Appartamento ad Atene non è di certo un argomento facile da trattare, specialmente per un'opera prima. La scelta di Ruggero Dipaola, quindi, si rivela coraggiosa sin da subito, ma forse proprio il confrontarsi con un simile materiale, lontano dagli autobiografismi che spesso colorano i debutti registici, ha permesso al regista di realizzare un film in cui spicca l'attenzione e la cura verso la propria opera. Dipaola sceglie, però, di non dedicarsi al conflitto bellico in maniera storiografica, lasciando gli eventi storici come sfondo dal quale prendono vita i personaggi, un qualcosa che è sempre presente e che emerge tramite i dettagli e le storie raccontate dai personaggi, ma che si fa esperienza personale di vita vissuta. Ci si concentra, quindi, sui personaggi in quanto esseri umani facenti parte di un nucleo familiare e sulle dinamiche tra di loro. Gli Helianos sono sempre colti tra la quattro mura del loro appartamento-prigione insieme al capitano Kalter in piccoli momenti di vita quotidiana dalla quale si cercano vie di fuga, che spesso di rivelano illusorie e menzognere. Forte è il senso di oppressione, quasi di claustrofobia, che si percepisce nelle scene in cui i membri della famiglia si confrontano con l'ospite inatteso e che si sente anche quando Kalter è assente, quasi che li stesse spiando in qualche modo. Un'oppressione che torna anche nei rari momenti trascorsi fuori casa, con lo spettro della guerra che pesa sui giochi dei figli e sulle macabre storie che raccontano. Delle fughe negate.

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Eppure, anche se sottoposti a questo regime di vita, si riescono a trovare dei momenti di sollievo, dei gesti e delle azioni più libere, dal sapore quasi ribelle, in particolare nel personaggio di Zoe, alla quale Laura Morante riesce a dare freschezza e gravitas al tempo stesso. Una sensazione che si riuscirà a trovare soltanto nella scena al cimitero, nella quale l'uomo diventa piccolo a confronto con il paesaggio, eppure parte integrante di esso, in momentanea armonia con il resto del mondo. Lo sguardo intimista di Dipaola (al quale sfuggono di mano solo le lunghe dissertazioni filosofiche tra Nikolas e Kalter, una sorta di lezione impartita al pubblico, fin troppo ridondante) ci trasporta così fino alla fine di questo viaggio, dal quale però rimane un senso di sconfitta, sigillato nelle ultime inquadrature sul volto di Zoe mentre la sua figura si allontana tra le vie della città. Ad aver vinto è la guerra.


Regia: Ruggero Dipaola

Interpreti: Laura Morante, Richard Sammel, Gerasimos Skiadaressis, Vincenzo Crea, Alba De Torrebruna

Origine: Italia, 2001

Distribuzione: EyeMoon Pictures

Durata: 95'

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