Arnold Schwarzenegger Wired

In sala da ieri con Terminator Genisys, è ormai sempre più teso a invadere trasversalmente il pubblico degli anni ’80 e quello giovane indie/alternativo. Ecco il nostro profilo trasversale

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Genisys rappresenta il tempo storico o il tempo personale? D’altronde Arnold Schwarzenegger è sempre stato un “fatto” accaduto nel futuro. Egli sgonfia tale domanda nello stesso modo in cui si può sgonfiare una grande domanda metafisica, l’interrogativo che forse più di ogni altro esemplifica il nostro bisogno, a volte incomprensibile, di una spiegazione ultima: perché esiste qualcosa piuttosto che nulla? Ma la domanda più imbarazzante è quella che sottostà alla trama stessa della vita di Shwarzenegger: è possibile cambiare il passato? Pomparlo, gonfiarlo, stravolgerlo?

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schwarzenegger contagiousSchwarzy è un ibrido del macrogenere fantastico, che supera il fantasy à la Tolkien, mescolando alcuni dei temi e degli ingredienti tipicamente fantasy e fantastici — la magia, il soprannaturale, il bizzarro e lo straniante — con elementi di forte realismo nell’ambientazione e nei personaggi. Un genere che oltrepassa i generi, insomma, che parte dal punto di incontro di fantascienza, fantasy e fantastico e che va oltre, mantenendo spesso la componente allegorica tipica del fantasy, ma oltrepassando con realismo e un briciolo di pessimismo la distinzione categorica e un po’ consolatoria tra bene e male. Schwarzy è un “essere nel cast”. “Allora tutto il film della mia vita mi è passato davanti agli occhi in un istante. E io non ero nel cast”. Un mondo come quello immaginato da Woody Allen in questa celebre battuta potrà sembrare, dal punto di vista logico, il più stravagante dei mondi possibili. Ed è proprio in questo mondo che abita Shwarzy. Com’è possibile un mondo osservato dal mio punto di vista, che parla della mia vita, e che al tempo stesso non contempla la mia presenza? Il fatto è che il punto di vista stramaledettamente logico può trasformarsi, e proprio in forza (atto) di una esibita coerenza nella costruzione dei mondi, nel suo esatto contrario. Fino a farci toccare con mano quella che Albert Camus chiamava l’esperienza dell’Assurdo, attraverso la quale arriviamo a percepire la vanità e l’assenza di senso che incombe sulle nostre stesse vite.

schwarzenegger conanSecondo Schwarzy la vita ci pare assurda se la guardiamo da lontano. Vi è una tensione essenziale tra un punto di vista oggettivo e impersonale e uno soggettivo e personale. Schwarzy ha saputo, come pochi, a farli propri contemporaneamente, come se avesse il gemello di se stesso. Viviamo tranquillamente, concentrati sulle nostre faccende piccole e grandi, quando a un certo punto ci capita di fare un passo indietro, e di osservare noi stessi dall’esterno. E allora ciò che da una prospettiva personale, interna, ci appare importante, fondamentale, assoluto, finisce per perdere ogni senso. Vista dall’esterno, la nostra vita ci pare assurda. Non solo perché rispetto all’eternità e immensità del mondo ci appare in tutta la sua miseria e finitezza. Come quella di un topo: “topo, topo, senza scopo/dopo te cosa vien dopo?, recita un geniale limerick di Toti Scaloja. No, il punto non sta nella limitatezza delle nostre vite. Se anche la vita fosse infinita, non avremmo risolto il problema: avremmo solo un’assurdità infinita. Che cosa allora ci può far pensare che la nostra vita abbia un senso e un valore diversi da quella di un topo? Il punto sta proprio in quel passo indietro, che noi, dotati di autocoscienza e capacità riflessive, siamo in grado di fare. La vita, così, ci apparirà magari assurda, ma senza che questo ci conduca alla disperazione. Al contrario. In fondo, anche dopo quel passo indietro la vita continua. Quante volte con Conan o Predator quel passo indietro è stato possibile. La vita continua, ma in fondo qualcosa è cambiato. E in meglio. Prima prevaleva la nostra tendenza a prenderci sempre stramaledettamente sul serio. Ora abbiamo guadagnato una dimensione nuova: siamo più leggeri, raffinati, ironici, civili, tolleranti, pronti a coprire cariche governative. Forse anche più logici. Anzi, stramaledettamente logici, e proprio per questo in grado di capire al volo la battuta di Woody Allen e, dunque, essere nel cast. Il futuro è semplicemente un tempo verbale imposto dalle circostanze. Il Virus contagious è partito proprio da questa evidente realtà. Ma il futuro potrebbe essere ancora una porta aperta. È questa la tensione muscolare tra due diversi modi di vedere la storia che delineano il corpo di Schwarzy, ormai sempre più teso a invadere trasversalmente il pubblico degli anni ’80 e quello giovane indie/alternativo.

schwarzenegger lovecraftLa natura del tempo, le relazioni causa-effetto, il libero arbitrio, tutto ciò smuove l’imbalsamato e palestrato, che colleziona teschi, fuma cohiba e frequenta ancora ammassi inumani di testosterone e steroidi. “Il fatto è il sogno più dolce che la fatica conosca”… questi versi di Robert Frost fanno pensare alla centralità dell’azione sia nel vivere sia nel conoscere. È soltanto attraverso il lavoro che ci introduce nel mondo, che cogliamo una reale comprensione dell’esistenza, del “fatto”. Non è una comprensione che si possa esprimere in parole. Non la si può rendere esplicita. Non è nulla di più che un sussurro. È una forma di contemplazione, un modo di vedere il mondo faccia a faccia invece che attraverso un vetro. L’azione toglie ogni mediazione dalla percezione, ci rende vicini alla cosa stessa. Ci lega alla terra, all’ambiente, fa capire Frost (o Schwarzy): antitesi della trascendenza, il lavoro ci colloca al nostro posto, prima di un bel sigaro all’ennesimo party in piscina. E poi, la possibile stop motion che vedrebbe l’incontro tra Shwarzy e H.P. Lovecraft, per la trasposizione di Dagon, secondo racconto pubblicato dal maestro dell’horror, sarebbe l’apoteosi: “Quando siamo troppo vicini al cuore di un mistero, non c’è modo di riallontanarsi per vederlo nel suo insieme”.

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