"Arthur e la vendetta di Maltazard", di Luc Besson

Artur e la vendetta di MaltazardBesson è rimasto sempre in quella terra di mezzo, a giocare una battaglia impossibile sull’immagine e lo spettacolo che in pochi hanno capito. Arthur e la vendetta di Maltazard è la prova che le munizioni a sua disposizione ancora non sono finite e che la battaglia, qualora avesse già l’esito scontato della sconfitta, non può ignorare la possibilità di una lucrosa e tecnicamente pregevole Resistenza

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Artuhr e la vendetta di MaltazardIl secondo capitolo delle avventure di Arthur, nate dalla disegnatrice Céline Garcia, è un’operazione perfettamente in linea con l’estetica e l’ideologia imprenditoriale bessoniana. Qui il piccolo eroe cade vittima di una trappola del perfido Maltazard, che avendogli inviato un falso messaggio d’aiuto, lo ha costretto a tornare nel regno dei Minimei. I mondi attraversati dai personaggi del film appartengono più all’immaginario di un Lucas o uno Spielberg – la cui comunanza è rafforzata dagli espliciti toni pedagogici che la pellicola avanza – che a quello dark di un Burton. Non deve sorprenderci. Anche nei suoi film migliori Besson è sempre stato il regista dello stupore, (quasi) mai del dolore. Sin dall’inizio Arthur e la vendetta di Maltazard si confessa, così, come contenitore di cinema passato (il tema wagneriano di Apocalyspe Now con cui il film si apre) e di molteplici stratagemmi immersivi (i dolly e le carrellate in avanti, da sempre tecnicismi amati e ricorrenti in Besson). Il regista francese è sempre stato coerente in questo, cantore del movimento ipercinetico e spesso già vicino a modalità e iconografie fumettistiche, con improvvise introspezioni psicologiche garanti di un’alterità extrahollywoodiana di difficile collocazione industriale. Eppure in questa serie, che mescola l’animazione in computer grafica alla “ripresa dal vivo”, c’è forse spazio per una grande parabola adolescenziale neanche troppo lontana da certi  impeti della Nouvelle vague. Il polimorfo e “virtuale” Arthur bessoniano, come figlio indiretto del Doinel di Truffaut? Tra un capitolo e l’altro il serial cinematografico, ed editoriale, di Besson racconta l’evoluzione di un corpo (quello del giovane protagonista, fisicamente cresciuto tra i due film e qui sottoposto anche al dolore nella violenta sequenza del passaggio tra i due mondi) e di un sentimento  (l’innamoramento per Selenia, il viaggio ludico, ma anche sottilmente edonistico, della prima parte) che sembrano seguire trumanianamente ,  passo dopo passo, la tappe del passaggio dall’infanzia alla giovinezza che il cinema più autobiografico di Truffaut ha saputo raccontare come nessun altro. Lungi dal paragonare Besson a Truffaut, non possiamo esimerci dal constatare quanto sia curioso, per non dire paradossale che, proprio nel progetto più tecnologico e sulla carta anti-francese, Besson abbia, forse,  rivelato la sua anima più intimista e legata alla tradizione autoriale nazionale, con la quale pareva non esserci mai stato un vero legame riconosciuto.
Il cinema di Besson è sempre stato segnato e forse anche penalizzato, vista l’eccessiva diffidenza soprattutto da parte della critica specializzata, dalla ricerca di un equilibrio tra la riflessione concettuale di un cinema aperto alla muscolarità spettacolare e una particolare, spesso anacronistica, sensibilità romantica (su tutti si veda lo spiazzante ma personale Angel-A). Così facendo il suo cinema negli ultimi dieci anni, ovvero da Il Quinto elemento in poi, è finito con il rimanere un po’ a metà strada tra l’America e l’Europa, spesso dimenticato, da molti letto come la parentesi bislacca di un abile illusionista senza più cartucce da sparare. Besson (che continua a dichiarare pubblicamente la sua europeità) è però rimasto sempre lì, in quella terra di mezzo, a giocare una battaglia impossibile sull’immagine e lo spettacolo che in pochi hanno capito. Arthur e la vendetta di Maltazard è la prova che le munizioni a sua disposizione ancora non sono finite e che la battaglia, qualora avesse già l’esito scontato della sconfitta, non può ignorare la possibilità di una lucrosa e tecnicamente pregevole Resistenza.
 
Titolo originale: Arthur et la vengeance de Malthazard
Regia: Luc Besson
Interpreti: Freddie Highmore, Mia Farrow, Ron Crawford, Robert Stanton, Lou Reed
Distribuzione: Moviemax
Durata: 83'
Origine: USA 2009
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    Un commento

    • PIETRO FERRERI...CIAO CARLO..........

      E' PERFETTO NELLA SUA PROFONDISSIMA ANALISI DI BESSON SEMBRA QUASI CHE PARLI DI SUO FRATELLO (che peraltro non ha !)