As I Was Looking Above, I Could See Myself Underneath, di Ilir Hasanaj

Le storie di 7 persone LGBTQ+ colpiscono per delicatezza ed empatia, svelando l’ancor più ardua difficoltà di chi ha un’identità queer in un paese come il Kosovo. Trieste Film Festival, Visioni Queer

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Love yourself. Lo slogan che, metà nero metà rosa annacquato, campeggia sulla sgarrupata parabola di Edon, il giovane attore queer che è andato a vivere da solo in una casa malandata in compagnia del suo amato gatto, è il simbolo più dolce di questo gran bel documentario presentato al Trieste Film Festival nella sezione Visioni Queer. Con As I Was Looking Above, I Could See Myself Underneath, il regista Ilir Hasanaj riesce infatti in appena 62 minuti a delineare la condizione di 7 persone LGBTQ+ che vivono in Kosovo ma appartenenti a generazioni e contesti sociali molto diversi tra loro. Lo fa soprattutto grazie al coraggio dei suoi protagonisti che, per la prima volta in un paese a maggioranza musulmana, secondo cui l’essere LGBTQ+ è un’ideologia importata dall’Occidente, acconsentono a mostrarsi davanti la MdP senza oscurare i loro volti e cambiare i loro nomi.

Così ecco che il lungometraggio raddoppia l’empatia verso lotte e rivendicazioni che se da una parte sono molto simili a quelle delle comunità queer di tutto il mondo – “Mi sentirei al sicuro se gli omofobi non esistessero“, “Mi sento male perché per un mese non potrò essere me stessa“, “Non ho mai avuto un lavoro, non me l’hanno permesso” -, dall’altra parte hanno una specificità che li rende tasselli unici di un mosaico non più arrendevolmente disposto a brillare solo nei circuiti underground. Lo rivendica in maniera icastica la drag Victoria Owens che davanti ad un pubblico adorante, anche per esser arrivata al club in tacchi e corpetto sfidando gli improperi degli automobilisti kosovari, urla al microfono che “nella clandestinità non possiamo cambiare nulla“. As I Was Looking Above, I Could See Myself Underneath dà voce alle sue testimonianze non limitandosi a fredde ed informali interviste ma lasciandole libere di esprimersi ed anche divagare mentre vivono la loro quotidianità.

Così vediamo Semi mentre si esibisce in un reading queer leggendo la sua poesia postata su Facebook, mentre la splendida Qerkica battibecca con il suo non-marito raccontando la loro lunghissima vita da pionieristici omosessuali. Ilir Hasanaj riesce nel miracoloso equilibrio di riuscire a rendere compassionevole anche ad un pubblico occidentale le lotte di queste persone e, allo stesso tempo, farsi affascinare dalla poesia comune di queste vite al limite ma mai liminari nè soggette ad un’influenza che i retrivi connazionali – ai quali viene concesso soltanto per tre volte in voice-off di rendere conto del clima socio-culturale che si respira nello stato balcanico – sostengono sia puramente esterna. “Non è stata l’Europa a portarci qui. Noi siamo qui da tanto tempo” – sembra rispondere a distanza a questo coro oscurantista la lucidissima studentessa. Queste persone sono infatti “qui per restare“, perché come suggerisce con una cristallina metafora il finale del documentario, “le cose si sistemeranno“. Così magari anche Megi potrà soddisfare la sua, questa sì, perversione più estrema: celebrare il suo amore lesbo in un matrimonio tradizionale albanese, anche se “super-patriarcale


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