ASIAN FILM FESTIVAL 2006 -"Dear Pyongyang" di Yonghi Yang

Tanti viaggi in un solo documentario. In avanti e indietro. Immagini interrogate con insistente fissità, per pochi secondi dalla camera, per anni da Yonghi Yang. All'Asian Film Festival prende forma quell'intima indagine che fa di "Dear Pyongyang" un documentario a più strati, svestito di qualunque ricerca puramente estetica

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Fotografie chiuse in un assordante mutismo. Marito e moglie in abito nuziale, con i figli al mare, in veste ufficiale per la General Association of Korean Residents. Immagini interrogate con insistente fissità, per pochi secondi dalla camera, per anni da Yonghi Yang, che vorrebbe guardarvi attraverso, per riuscire a capire. Basterebbe forse riuscire a separare quelle due identità che fanno di suo padre una creatura sconosciuta, perfino odiata, per lei impenetrabile. Pubblico e privato, politico e familiare, ideale e concreto combaciano perfettamente, confondendosi. Non sembra esserci spazio per le domande, né per i rimpianti. Tre fratelli di "ritorno" a Pyongyang, per sempre separati dal Giappone, dalla sorella Yonghi, incredula, contrariata. Culture diverse che non possono in alcun modo avvicinarsi, nonostante ci sia solo acqua a dividerle, un oceano infinito di parole non dette.

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Tanti viaggi in un solo documentario. In avanti e indietro. Il viaggio di Yonghi Yang, su una nave che va a ritroso, scavando negli anni, per tornare all'inizio e rivedere tutto con analitica precisione. Il viaggio di mamma e papà a Pyongyang, movimento di ricongiungimento dell'oggi con il passato, con le ragioni della divisione e il futuro della famiglia in continua crescita. Il viaggio personale del signor Yang, inaspettatamente volto alla scoperta della figlia, della sua diversità culturale e ideale, teso verso l'accettazione e la piena concessione di nuove libertà. E nel contempo proiettato incontro alla malattia e all'indifeso scivolare verso la fine. Il viaggio politico del Giappone e della Corea del Nord, unite/divise da un difficile destino che coinvolge persone, distrugge legami, genera contraddizioni.


All'Asian Film Festival prende forma quell'intima indagine che fa di "Dear Pyongyang" un documentario a più strati, svestito di qualunque ricerca puramente estetica. Yonghi Yang punta al cuore delle cose, mostrandone la semplicità, senza veli, senza ombre, grazie alla corrispondenza tra tempo filmico e tempo reale, alla contemporaneità tra ricerca per immagini e ricerca personale. Accade adesso, è ora che i contrasti vengono risanati, che il sorriso di un padre riesce ad illuminare in un attimo il tortuoso cammino di una vita. Mentre Yonghy Yang descrive le fotografie inquadrate, il paesaggio fuori dall'autobus che si avvicina alla città, gli edifici in primo piano. Mentre le parole vengono pronunciate, per ascoltarne il suono e comprenderne il vero significato. Mentre le mani di una figlia stringono quelle di un padre, ritrovato dopo anni di silenzio.

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