ASIAN FILM FESTIVAL 2006 – "Hana" di Hirokazu Kore-eda (Fuori Concorso)

Hana è la lenta ballata di un mondo perduto, dove il mito del samurai viene a cadere definitivamente e non c'è più spazio per l'eroismo, né per una nobile violenza cavalleresca, ma anzi è il registro umoristico a prevalere

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Hana di Hirokazu Kore-eda è la lenta ballata di un mondo perduto. Il ritratto  semi-grottesco di una quotidianità storica, che sembra continuamente inseguita attraverso dettagli minuziosi e tempi morti. All'inizio del XVIII secolo a Edo (miserrimo villaggio destinato di lì a un centinaio di anni a diventare la grandiosa Tokyo), il giovane samurai Soza trova rifugio mentre cerca di vendicare il padre, morto in circostanze poco onorevoli. In realtà Soza è tutto fuorché un coraggioso e valido combattente. All'arte della spada, preferisce quella della scrittura, dell'insegnamento e del teatro e invece di dare la caccia all'assassino sembra sempre più innamorato di quel piccolo mondo, con i suoi bambini da educare, giovani vedove gentili e amorevoli, mercanti simpatici e inoffensivi.

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Kore-eda solo apparentemente abbandona il minimalismo delle opere precedenti in favore di una operazione ad alto budget. In realtà, per quanto raffinatissimo nella messa in scena, Hana mette in secondo piano l'epica e il grande spettacolo, concentrandosi su un intimismo e una ricerca del "racconto piano" quasi spiazzanti. Piuttosto indicativo, in tal senso, è l'insistito ricorso al fuori campo, al quale viene relegata la totalità dei (pochi) momenti drammatici, nonché l'impostazione stessa di determinate sequenze di dialogo o entrata in scena. Come a dire che la storia è sempre e soprattutto fatta da tutto quello che c'è in mezzo, da quelle dinamiche invisibili che legano i grandi eventi e i sentimenti dell'uomo. Per quanto Kore-eda cerchi il ritratto di un'epoca in cui la vendetta tra ronin sembra essere l'unica legge da seguire, il suo è quindi un film profondamente scanzonato e crepuscolare. In Hana il mito del samurai viene a cadere definitivamente: non c'è spazio per l'eroismo, né per una nobile violenza cavalleresca, ma anzi è il registro umoristico a prevalere. L'ingegno di Soza, la sua sensibilità mite, diventano le qualità tipiche dell'antieroe, quasi una sorta di contemporaneo predicatore pacifista, allergico alle armi e allo spargimento di sangue, che alla fine, pur di salvare l'onore, non esita ad allestire un falso "regolamento di conti". Una messinscena risolutrice che potrebbe quasi esser presa come dichiarazione programmatica dell'intero film, tutto giocato sulla performance esplicita, sulla teatralità innocua di azioni e personaggi.

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    Un commento

    • Un altro film perduto… non riesco a trovarlo da nessuna parte. Peccato…Augusto