La seconda volta con Johnnie To è sempre una sorpresa – tutte le traiettorie e le geometrie che ti sembrava di aver colto alla prima visione si rivelano essere solo la piccola parte del complesso gioco di rimbalzi destabilizzanti che costituisce l'elemento fondante dell'inquadratura a la To, sorta di montaggio interno già effettuato al momento della ripresa, stratificazione di piani diversi ad altezze e profondità differenti già assemblatasi all'atto stesso di vedere (with one's own eyes) – e si era detto a un bel po' di amici "non potete perdervi Exiled all'Asian FF stasera! È un film incredibile, sublime, struggente, mozzafiato, con delle sparatorie così belle che non potete neanche immaginarvi cosa riesca a combinare To in quelle sequenze d'azione…!", perché ancora avevamo negli occhi la proiezione di settembre al Lido, una mattina in cui il mondo di Exiled ha preso a vorticarci intorno facendoci confondere in un universo balistico i cui confini sono tratteggiati dalle rette precise e spietate di un proiettile che fende l'aria – quella mattina a Venezia, di Exiled avevamo amato soprattutto le scene d'azione, per un attimo ci era sembrato di tornare indietro all'amato periodo d'oro dell'heroic bloodshed honkkonghese, e il film ci aveva fatto toccare vertigini sensoriali inaspettate. Ma l'altra sera, quando si è tornati in sala per la semplice voglia di rivedere questo film, soprattutto dopo il monito terribile del crudelissimo Election 2 a Torino, insieme al gruppetto di amici di cui sopra che si era riusciti a racimolare, l'altra sera Exiled è diventato qualcosa di più – l'altra sera Exiled ha colpito a fondo, è esploso in tutta la sua carica emozionale quasi insostenibile, che non ci si riusciva a guardarlo perché troppo sconquassante, davvero un cinema di un cuore e un'umanità prorompenti e dirompenti, grande amore e comprensione e empatia col personaggio di Blaze, il mitico Anthony Wong, e per tutti i cinque amici che come tutti gli amici prima si sparano addosso, poi vanno a cena insieme a ridere bere e scherzare. E fuori dalla sala, a proiezione finita, le braccia hanno continuato a tremare per almeno una mezzora, il cuore a battere all'impazzata, le immagini più belle a tornarci in testa ciclicamente: quella sorta di sacrificio rituale nel cortile del palazzo di notte con quel corpo crivellato già avvolto nel suo sudario, i primi venti minuti così meravigliosamente perfetti, e tutta quella digressione western in quel paesaggio desertico-lunare dove giocare come dei bambini con i piedi nell'acqua dello stagno. Davvero il film di Johnnie To, che comunque conserva il suo alone di operazione nostalgica su di un cinema che ormai a Honk Kong non si fa più, è un contenitore di tracce e sensazioni talmente (di nuovo) stratificato che anche una seconda visione – una visione reiterata – può trasformarsi in un'esperienza originale, originaria e primaria. Exiled again. Esiliati in sala, esiliati nel cinema. Ancora una volta. Ogni volta come fosse la prima.

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