ASIAN FILM FESTIVAL 2012 – "Way Back Home – 3 individuals", di Shen Ko-shang


Film paradigmatico di una nuova leva di registi taiwanesi che pur tenendo presente la lezione dei grandi (Tsai Ming-liang, Hou Hsiao-hsien, Edward Yang) tentano oggi la carta del film fruibile a tutti, della storia semplice che buchi subito lo schermo e che entri in empatia istantanea con un pubblico più vasto. Way Back Home è un film fatto di pochi eventi intrecciati tra loro che compongono un puzzle di calda umanità in cui specchiarsi e riconoscersi. Dove la città, con i suoi ammalianti colori notturni, restituisce un altrettanto nostalgico controcampo

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Nella cinematografia di Taiwan stiamo assistendo ad una lenta ma evidente mutazione. I grandi maestri da tempo celebrati in ogni festival (Tsai Ming-liang, Hou Hsiao-hien, il compianto Edward Yang) hanno sempre inseguito una personalissima e complessa idea di cinema, puntando senza mezzi termini a una autorialità Alta e priva di compromesso. Oggi, invece, assistiamo sempre più spesso a una serie di esordi di giovani registi che tentano la carta del film fruibile a tutti, della storia semplice che buchi subito lo schermo e che entri in empatia istantanea con un pubblico più vasto. Ed è in questa categoria che si inserisce Way Back Home del talentuoso Shen Ko-shang, film che evita sin da subito la trappola dell’ambizione spropositata e si rifugia nei sicuri terreni del film generazionale (tanto battuti anche da noi in Occidente).

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La storia è quella di tre coinquilini e delle loro piccole storie di solitudine e amicizia che vengono in qualche modo stravolte e migliorate dall’arrivo della giovane Aki, figlia dei padroni di casa, che si fermerà nell’appartamento per un breve periodo. Aki è in cerca dei genitori, vuole convincerli a non divorziare, vuole salvaguardare il ricordo della felicità bambinesca. E lei (emigrata in America) torna a Taiwan per riscoprire le ragioni della sua infelicità. Un film fatto di pochi eventi intrecciati tra loro che compongono un puzzle di calda umanità in cui specchiarsi e riconoscersi, dove la città con i suoi ammalianti colori notturni restituisce un altrettanto nostalgico controcampo.

Un film che sa regalare due o tre momenti di cinema sinceramente commoventi (su tutti il dolcissimo tentativo dello scapestrato “crocchetta” di far smettere di piangere Aki), che riesce a non perdere di vista i riferimenti alti a cui si ispira (i travagli amorosi di Tsai Ming-liang e il personaggio di A-Tian che sembra ricalcato sul Tony Leung di tanto cinema di Wong Kar Way), ma che sa anche raggiungere una levità nella messa in scena che lo avvicina più alla commedia generazionale americana. Insomma un felice e “minimale” ibrido: il cinema taiwanese è vivo più che mai.

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