Aspettando IT – Sei già stato qui. Un ritorno nei cunicoli dell’adolescenza

La magia che riesce a King è di farci identificare pienamente con i “perdenti” e, attraverso questa identificazione, riapre nella nostra memoria quei cunicoli che ci hanno guidato nell’infanzia

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Ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste.

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(dalla dedica di It)

 

La mia superficie sono io.

Sotto la quale

in fede, la gioventù

è sepolta. Radici?

Tutti hanno radici.

William Carlos Williams, Paterson

(citazione ad inizio seconda parte di It)

 

Sei già stato qui. Si che ci sei stato. Sicuro. Io non dimentico mai una faccia.

(incipit di Cose Preziose)

 

It è tante cose nelle sue 1200 pagine. E’ uno spaccato su due Americhe, diverse ma profondamente legate: quelle di fine anni ’50 e ’80. Due periodi in cui la società americana, ed il mondo, erano sull’orlo di profondi cambiamenti: momenti in cui il futuro era sicuramente più ricco di speranze che non di paure. It, poi, ci ricorda come la vita nelle città di provincia, appena sotto la superficie fatta di apparente ed immutabile tranquillità, nasconda le sue inquietanti mostruosità, perpetrate grazie alla silenziosa e multiforme pervasività del male. Ma, probabilmente, più di tutto It è un romanzo di formazione. E nell’ambito di questo genere narrativo, è senz’altro uno dei racconti più sinceri che si possano trovare su quel momento in cui si attraversa il confine fra infanzia e adolescenza e, nello stesso tempo (visto che fra la prima e la seconda parte del romanzo c’è un lasso di tempo di 27 anni), è uno dei pochi che prova a confrontarsi con un tema davvero misterioso: la memoria dell’infanzia e di come sia difficile, per un adulto, lasciare la “comfort zone” della razionalità per infilarsi nei cunicoli delle emozioni e delle paure della (propria) adolescenza.

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La magia che riesce a King è di farci identificare pienamente con i “perdenti” e, attraverso questa identificazione, riapre nella nostra memoria quei cunicoli (sinaptici) che ci hanno guidato (tenuti vivi) nell’infanzia ma che ormai si sono chiusi da secoli. Questo processo di identificazione/ricordo si autoalimenta creando un legame indissolubile fra il lettore e i “perdenti”.

Questa speciale magia è davvero rara, pochi sono riusciti, anche nel cinema, a “far regredire” lo spettatore a quella fase della vita in cui le cose si sentono più che si sanno. Un autore che sicuramente ci ha provato (spesso facendo centro) è senz’altro Shyamalan: anchesigns1 lui convinto che “la magia esiste” ed altrettanto consapevole che solo i ragazzi sono in grado di farla funzionare. A ben vedere, molto del suo cinema (a cominciare dalle sue opere migliori come il Sesto Senso, Signs, Unbreakable, fino all’ultimo Split) è fatto di ragazzi preadolescenti che assumo su di loro tutta la responsabilità per le scelte che gli adulti non hanno la forza di fare. Questo, infatti, è un altro elemento che lega il cinema di Shyamalan alla rappresentazione dell’infanzia fatta da King (in It e non solo): la consapevolezza di essere soli ad affrontare il male e la certezza che nessun aiuto potrà arrivare dagli adulti che vivono una “realtà parallela” con la quale è impossibile interagire.

Di esempi di questo genere il cinema di Shyamalan è pieno: a cominciare da Cole, il bambino protagonista del Sesto Senso, che accetta in silenzio il gravoso “dono” di cui è portatore, oppure il piccolo Joseph che con l’inganno rivela al padre (Bruce Willis in Unbreakable) la sua forza sovrumana, e ancora i giovanissimi figli del reverendo Hess (Mel Gibson in Signs): gli unici a credere nel soprannaturale (gli alieni) ed a possedere 51ZJJKSw_lL“la magia” per distruggerli. Fino ad arrivare all’ultimo, Split, in cui è proprio la persistenza dei traumi infantili che, se da un lato impediscono a Casey di essere accettata dalle sue coetanee, dall’altro le danno la capacità di affrontare il male e non esserne semplicemente vittima.

Ma i ragazzi di King sono più che responsabili, sono guerrieri. Piccoli guerrieri che combattono per sopravvivere in un mondo in cui la tirannia degli adulti non vede l’ora di ucciderli, o almeno di uccidere in loro quella scintilla di “magia” rivoluzionaria. Ben prima di Hunger Games (che epura tutto il perturbante e infiocchetta di rosa il racconto), King aveva già “previsto” (ne La Lunga Marcia) la distopia televisiva che elimina ogni possibile forma di dissenso, proprio uccidendo gli adolescenti (o l’adolescenza).

Senza la memoria dell’adolescenza, siamo destinati tutti (come Bill che non si accorge che l’inchiostro comincia lentamente a sparire dalle pagine del suo diario) a perdere ogni consapevolezza di quello che siamo stati: dell’individuo che eravamo, prima che sapessimo chi siamo (oggi). Senza l’irragionevole coraggio dell’adolescenza, siamo facili prede di It, destinati a galleggiare … nelle nostre paure.

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