Aspettando The Final Reckoning – come McQuarrie ha trasformato Mission: Impossible
L’arrivo del regista da Rogue Nation ha dato una visione alla saga, dopo le prime quattro reinterpretazioni degli autori di turno. L’ottavo episodio arriva il 22 maggio dopo il passaggio a Cannes

Mission: Impossible – The Final Reckoning è ormai alle porte, in arrivo in sala dal prossimo 22 maggio, ma già fuori concorso al 78° Festival di Cannes qualche giorno prima. L’ottavo capitolo chiuderà il discorso iniziato con il precedente Mission: Impossible – Dead Reckoning, sancendo con ogni probabilità però anche la conclusione dell’intera saga. L’importanza che oggi ricopre nel panorama del cinema d’azione (ed in particolare di spionaggio) Mission: Impossible è indiscutibile, tanto che tra il Tom Cruise attore e l’Ethan Hunt personaggio c’è di fatto un rapporto di totale sovrapposizione. Eppure tutto ciò sarebbe stato impensabile anche solo poco più di dieci anni fa, quando i panni della spia erano solo alcuni di quelli che il divo indossava, sempre impegnato anche in altre produzioni. E va detto che allo stesso modo ai suoi albori la saga non sembrava potersi trasformare in un franchise di tali proporzioni.
Fino al 2011, anno di Mission: Impossible – Protocollo fantasma, quarto capitolo della serie, si erano alternati alla regia quattro cineasti con visioni totalmente differenti, che avevano allo stesso tempo portato a quattro film difficilmente accomunabili se non fosse stato per il loro protagonista. Il primo era stato diretto da un autore della New Hollywood come Brian De Palma, mentre per il secondo era stato il turno di un maestro dell’action come John Woo. Il terzo e il quarto erano invece stati due esordi con il cinema di finzione, rispettivamente dell’allora Re Mida della televisione J. J. Abrams (ironia della sorte, quello del creatore di Alias, Fringe e Lost è il capitolo della saga con i peggiori incassi) e di Brad Bird, prima di allora regista solo di film d’animazione, tra cui Gli Incredibili e Ratatouille.
Per comprendere dove poggia le proprie basi il cambiamento che sarebbe arrivato a partire dal quinto capitolo, Mission: Impossible – Rogue Nation, occorre paradossalmente tornare ad uno dei maggiori flop della carriera di Tom Cruise: Operazione Valchiria, di Bryan Singer. Il film non incassa quanto previsto e non riceve critiche particolarmente positive, tanto che a distanza di 17 anni risulta uno dei titoli più dimenticati dell’intera filmografia dell’attore. Tuttavia su questo set ha l’occasione di collaborare per la prima volta con lo sceneggiatore Christopher McQuarrie. Quest’ultimo, già autore del copione de I soliti sospetti, viene da subito identificato da Cruise come qualcuno su cui puntare, tanto da divenire il suo principale collaboratore. Ha scritto quasi tutti i film a cui l’attore ha partecipato da allora (La Mummia, Edge of Tomorrow – Senza domani, Top Gun: Maverick), dirigendolo in cinque occasioni, la prima per Jack Reacher – La prova decisiva, le successive proprio per la saga di Mission: Impossible.
Da Rogue Nation la coppia Cruise-McQuarrie diventa di fatto il cuore di tutto Mission: Impossible, con la serie che si trasforma profondamente. Il cast si consolida definitivamente e se prima i personaggi secondari si alternavano accanto a Ethan Hunt, si crea invece un team stabile che accompagnerà il protagonista da lì in avanti. Nella prima metà della saga inoltre quest’ultima si prestava alla filosofia del cineasta di turno, negli anni degli universi espansi a prevalere deve essere invece la forza propria del franchise, che quindi deve sposare una visione che possa caratterizzarlo univocamente. Da un lato ecco quindi la scelta di affidarsi ad un unico regista, per l’appunto Christopher McQuarrie, con i film che per la prima volta si uniformano, facilmente riconoscibili come parte delle stessa saga.
Dall’altro questa visione consiste per certi versi in una sorta di “bondizzazione” di Ethan Hunt e dell’universo in cui si muove. Nello stesso periodo infatti la saga di 007 è nella sua era Daniel Craig, ovvero quella in cui maggiormente si è allontanata dalla tradizione della longevissima saga. Il Bond di Craig è quello più intimista, soprattutto nella triade Skyfall, Spectre e No Time to Die, in cui a prevalere sono le questioni personali sulle ragioni geopolitiche. I villain sono allora ex amici invidiosi della spia o il suo fratellastro cresciuto nell’ombra. Conosciamo più il passato del protagonista che gli equilibri del mondo che lo circonda. Proprio qui sta l’intuizione allora di Cruise-McQuarrie: perché non fare in modo che a recuperare le caratteristiche tradizionali di Bond sia proprio Mission: Impossible?
E così succede. Ethan Hunt da Mission: Impossible – Rogue Nation assomiglia al James Bond tradizionale più dello stesso James Bond di Daniel Craig. Questo perché laddove in 007 l’attenzione si sposta dall’universo all’interiorità del personaggio, in Mission: Impossible avviene il contrario. Ethan Hunt non combatte prevalentemente contro i proprio traumi o il proprio passato, che ritorna solo in quanto dimensione da sacrificare per adempiere al meglio ai propri doveri. Sono sempre più centrali gli equilibri geopolitici, che la saga di 007 non era più riuscita a leggere da quando la Guerra Fredda era finita, disegnando un mondo completamente mutato. Mission: Impossible invece resta agganciato (alla sua maniera) al mondo contemporaneo, fino al ruolo chiave dell’IA in Dead Reckoning e The Final Reckoning.
Un altro aspetto che dimostra il cambiamento del franchise in favore di un avvicinamento alla tradizione bondiana è l’importanza crescente dei diversi luoghi in cui si svolgono le missioni del protagonista. In quanto spia, chiaramente anche Ethan Hunt ha sempre girato il mondo, tra setting più o meno esotici. Dall’arrivo però di Christopher McQuarrie questi diventano quasi un ulteriore personaggio (caratteristica centrale proprio dei migliori 007). Vengono inquadrati sempre più con magnificenza, con le scene più spettacolari ambientate in luoghi altamente riconoscibili, come il Teatro dell’Opera di Vienna in Rogue Nation, o il Colosseo in Dead Reckoning.
Ecco quindi che oggi, nell’incertezza più assoluta per quanto riguarda James Bond, con il rischio di disaffezione da parte del pubblico che prende sempre più forma, in molti aspettano invece di celebrare Ethan Hunt e la conclusione della parabola di Mission: Impossible nell’ultimo decennio.