Aterrados (Terrified), di Demián Rugna

Alcuni avvenimenti terribili accadono a Buenos Aires, trasformando una zona residenziale in un posto infestato da oscure entità assetate di sangue. Aterrados è un horror argentino di Demian Rugna

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Uno schema dell’orrore prevede dei passaggi obbligati, buio, inquietudine, per superare l’argine di un quotidiano rassicurante e scoprire di essere piombati in un incubo, tanto più grande e reale ad ogni sussulto di paura. Scossi, con i volti sfigurati dall’insonnia e i nervi che cedono al delirio per evitare la pazzia e l’aspetto vulnerabile dell’angoscia, i personaggi di Aterrados di Demián Rugna sono vittima di una trasfigurazione in un ignoto piatto e violento e da una semplice ripetizione, nel terrore dell’inalterato presente diventato insopportabile, di un’ossessione maniacale.

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Alcuni avvenimenti terribili accadono in un quartiere di Buenos Aires, trasformando una tranquilla zona residenziale in un posto infestato da oscure entità assetate di sangue. Dopo il primo efferato delitto, in assenza di elementi di prova per chiudere il caso, l’indagine piega nel campo soprannaturale coinvolgendo personalità meno scettiche, ed abituate ad affrontare situazioni singolari ed inspiegabili, per cercare riscontri fuori dai confini razionali. Restando quasi esclusivamente sulla suggestione per la poco approfondita discussione investigativa (è difficile ma interessante immaginare che il film avrebbe tratto giovamento da un maggiore sviluppo della parte crime), il regista è riuscito a ricreare un’atmosfera, al costo di sacrificare una coerenza narrativa tipica del racconto di genere, anche se proprio nel costruire dei percorsi sghembi, nel dotare ognuna delle personalità di un piccolo pezzo del puzzle rendendola degna di autonomia, ha trovato un’identità di sguardo, e scongiurato il rischio di essere insapore.

La mostruosità si manifesta, e per questo diventa interessante e minacciosa, negli spazi che ci sono familiari, è frutto di un’invasione del consueto, un disturbo visibile o invisibile, rinuncia ai territori preconfezionati di tortura per posizionare il pericolo dove è inaspettato così da potenziarne l’efficacia disturbante. Il maleficio, la sua esposizione di virulenta violenza, la sua natura demoniaca, è la progressione adottata per la storia, con tanto di irresoluto, una bolla cresciuta tanto fino a scoppiare e lasciare libera quella sfera più piccola contenuta all’interno, un’altra idea malvagia per un possibile sequel.

Nel silenzio spezzato dai rumori, negli artigianali ed ingegnosi effetti speciali pieni di trovate da togliere il fiato, nella incredulità circolare che rimanda sempre oltre la possibilità di comprensione con un continuo rilancio per le ipotesi e nessuna definizione precisa, strettamente legata all’esposizione impotente ed inaccettabile alla morte fisica ed alla ricerca di una motivazione per sfuggire alla tomba, c’è una visione, forse distorta e confusa, comunque autentica.

Il film si allontana come impostazione dalla frenesia nordamericana piena di un’incalzante successione di immagini brutali dentro un montaggio supersonico e di freaks liberi di trucidare gente a piacimento. Come affinità è più vicino al registro nipponico, quello del terrore che si nasconde tra le mura domestiche dove gli spiriti in agitazione diffondono il panico e qualcosa di cigolante disturba il sonno, anche se certe imprecisioni aumentano la distanza da un esempio tanto prestigioso, compromettendone la riuscita finale, un limite in parte dovuto ad un eccessivo numero di personaggi coinvolti nella storia in maniera esclusivamente pleonastica.

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