Atlas, di Niccolò Castelli

Matilda De Angelis è la forza e il limite del film che si affida completamente alla sua convinvcente prova ma lascia troppo ai margini i personaggi secondari e la figura di Arad

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In cima alla montagna ci sono tutti i sogni. Dentro una stanza chiusa invece c’è la loro perdita. Dalle Dolomiti in cui si guarda lontano al buio. Gioca sul continuo contrasto luce/oscurità Atlas, secondo lungometraggio del cineasta ticinese Niccolò Castelli dopo Tutti giù del 2012. È un progetto che ha richiesto una lunga gestazione, circa sei anni, ed è ispirato all’attentato di matrice jihadista al Café Argana di Marrakech del 28 aprile 2011 dove hanno perso la vita 17 persone tra cui tre ragazzi svizzeri.

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Allegra (Matilda De Angelis) ha la passione del climbing. Con il fidanzato Benni (Nicola Perot), l’amica Sofia (Anna Manuelli) con il suo ragazzo Sandro (Kevin Blaser) decidono di partire per il Marocco e scalare la catena montuosa dell’Atlante. L’attentato però manda all’aria il loro progetto. Lei resta l’unica sopravvissuta, è divorata dai sensi di colpa ma odia pure tutto il mondo che ha davanti. Rifiuta qualunque aiuto, a cominciare dai suoi genitori fino alla coinquilina Giulia (Irene Casagrande). Un giorno incrocia Arad (Helmi Dridi), un giovane musulmano rifugiato. E comincia a seguirlo.

In Atlas si sentono il respiro e i battiti del cuore accelerati di Matilda De Angelis. Si avverte cosa pensa già dai suoi occhi. Il cineasta segue la sua protagonista, ne condivide paura, rabbia, frustrazione e, prima della tragedia, la fiducia verso il futuro. Il film incrocia spesso passato e presente e grazie all’ottimo lavoro di Esmeralda Calabria nel montaggio, sovrappone i diversi piani temporali dove il prima e il dopo creano due figure diverse, autonome, staccate l’una dall’altra. Solo che hanno lo stesso volto, lo stesso corpo, la stessa voce.

Castelli è attento alle geografie del paeesaggio: le montagne, le strade di Lugano, i percorsi sui treni dove lavora Allegra. Perde però di vista molte figure secondarie, a cominciare dai genitori della protagonista all’amica Giulia. Ma soprattutto risulta sfocato il personaggio di Arad così come il tentativo, andato a vuoto, di riflettere sulla condizione soggettiva dell’immigrazione. E appaiono forzati alcuni momenti come la scena in cui la protagonista gli si rivolge in strada di notte mentre è ubriaca.

Matilda De Angelis traina quasi da sola il film. Il cineasta ci si affida quasi totalmente. Ed è inizialmente il punto di forza ma alla fine il limite di Atlas. La sua elaborazione del lutto è coinvolgente e diretta. Molto meno quella degli altri personaggi a cominciare dal dolore trattenuto di Neri Marcorè nei panni del padre di Sofia. Lo scarto si vede nella scena della cena dopo la strage dove i genitori dell’amica morta nell’attentato decidono di andarsene. Per alimentare quel clima bisogna aspettare che si possa creare oltre ciò che è presente nella sceneggiatura scritta dallo stesso regista con Stefano Pasetto. C’è bisogno di un tempo dell’attesa che il film decide però di non prendersi. Come nella scena dell’esplosione. Forse bastavano pochi dettagli. Le due amiche che parlano. I due ragazzi al bancone. Dissolvenza in nero.

 

Regia: Niccolò Castelli
Interpreti: Matilda De Angelis, Helmi Dridi, Nicola Perot, Irene Casagrande, Anna Manuelli, Kevin Blaser, Anna Ferruzzo, Neri Marcoré
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 90′
Origine: Svizzera, Belgio, Italia 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.36 (11 voti)
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