Attacco al Potere 2, di Babak Najafi
Il volenteroso Babak Najafi ce la mette tutta per svecchiare l’impianto sferragliante e unto lasciatogli da Fuqua, ma il suo film funziona invece soprattutto quando mena le mani alla vecchia maniera
La domanda, posta in occasione del prototipo, sull’esistenza o meno di un pubblico di nuova generazione in grado di accorrere in sala per un’operazione come quella di Attacco al Potere ebbe la sua risposta nel successo ottenuto dal film di Antoine Fuqua, tale da giustificare un sequel che però non vede ad alcun livello coinvolto il cineasta di Equalizer, ma invece porta chiara la volontà di Gerard Butler, anche produttore come per il primo episodio, di proseguire il franchise.
Nel frattempo gli orizzonti del cinema puramente action sono finiti ancora di più rosicati dalla morsa supereroistica (comprese in misura diversa saghe resistenti come 007 e Fast & Furious), fino a giungere al risultato dell’azzeramento ai minimi termini di un prodotto inclassificabile come il recente Deadpool, girato come uno dei blockbuster esageratissimi di Tollywood ma pensando unicamente a fare in modo che i sessantamila ammiccamenti fossero tutti della lunghezza giusta per comparire in un post sui social.
E’ chiaro poi che il film con Ryan Reynolds si porta dietro tutta l’eredità di Donner e McTiernan (il 90% delle trovate di Deadpool le avevano già tirate fuori i vari McClane), ma decide di declinarla sempre come se il suo intero universo di riferimento fosse accessorio, pacificamente percepito come sfocato (questi Marvel movies galleggiano tutti in un presente senza tempo che si caratterizza solo attraverso la mappa degli incroci e degli innesti interni…).
Eppure anche l’indistruttibile guardia del corpo presidenziale Michael Banning dei due …has fallen non ha pietà alcuna per i cattivi, che massacra con gioia manifesta e soddisfazione omicida nella tortura più sanguinosa, all’interno di un plot ostinatamente canonico condito da una serie di punch lines gradasse e politicamente scorrette pronunciate all’indirizzo dei nemici: dove sta la differenza?
D’accordo, la grossolana propaganda nazionalista d’accatto è ovviamente esecrabile ma centrale ai fini del posizionamento innanzitutto estetico, a metà tra due spauracchi del reazionarismo multinazionale come la saga dei Taken e le stagioni più incazzate di 24, entrambi paletti irrinunciabili per qualunque discorso sull’immaginario d’azione post 11/9.
Da questo punto di vista, se Olympus lavorava sulla paura dell’home invasion, London mutando il terreno di gioco porta con sé i fantasmi degli attentati del luglio 2005 se non addirittura memorie di bombardamenti in epoca churchilliana (con tanto di sirena d’allarme che rimbomba in cielo): va da sé che è difficile non pensare alle esplosioni sulle rive del Tamigi incontrate ultimamente nel dittico bondiano di Sam Mendes…
Il volenteroso Babak Najafi ce la mette tutta per svecchiare l’impianto sferragliante e unto lasciatogli da Fuqua, e ad un certo punto infila (anche lui!) un paio di piano-sequenza particolarmente elaborati a seguire Butler in modalità first person shooter come piace ai giovani: per il resto, s’inventa una metropoli abbandonata in fretta e furia a metà tra un horror di zombie e un postapocalittico da piaga mortale, probabilmente con in mente il riferimento altrettanto trendy delle purghe di Jason Blum.
Paradossalmente ma neanche tanto, il suo film funziona invece soprattutto quando mena le mani alla vecchia maniera, per poi rialzarsi incolume tra le macerie per sparare una pessima battuta asciugandosi il sangue dalla fronte.
Per parafrasare il proclama urlato con orgoglio da Banning/Butler prima di assestare il colpo finale al boss terrorista del “Fanculistan” dell’ultimo livello, “quello che voi bastardi non capite, è che tra 100 anni staremo ancora facendo questo film…”
Titolo originale: London Has Fallen
Regia: Babak Najafi
Interpreti: Gerard Butler, Aaron Eckhart, Morgan Freeman, Angela Bassett, Radha Mitchell
Distribuzione: M2 Pictures
Durata: 99′
Origine: Usa 2016