Azor, di Andreas Fontana

Fontana al suo debutto articola una storia sui pericoli, i sacrifici e le regole a cui bisogna sottostare in un regime dittatoriale per evitare di essere brutalmente schiacciati. Su Mubi

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Stai attento a quello che dici” non è solo la traduzione letterale dell’idioma franco-svizzero Azor, ma la chiave d’accesso ad un mondo diegetico oscuro, connotato da un’atmosfera tetra e tagliente che getta in un pressante clima di attesa e vigilanza i personaggi che vi si muovono al suo interno, anche (e soprattutto) in assenza di un pericolo evidente. Da tale prospettiva, allora, nel raccontare l’odissea di Yvan De Wiel (Fabrizio Rongione), il banchiere privato svizzero chiamato a sostituire il suo celebre e ambiguo collega Keys in una Buenos Aires militarista, il debuttante elvetico Andreas Fontana relaziona ossessivamente il percorso del protagonista al contesto sociale, culturale e politico in cui agisce, al fine di articolare una storia sui sacrifici, i pericoli e le regole a cui si deve sottostare in un regime dittatoriale per evitare di essere brutalmente schiacciati.

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In Azor, il clima di terrore portato dal “Processo di riorganizzazione nazionale” nell’Argentina di inizio anni ’80 diviene la cornice di riferimento imprescindibile per comprendere i comportamenti diffidenti, le azioni circospette e i gesti cauti dei personaggi, nonostante nel film il “contesto politico” non venga mai esplicitamente citato, né tanto meno rappresentato. Fontana qui agisce per sottrazione, delineando un’atmosfera di paura e tensione senza che l’origine del terrore sia figurativamente presente, in un modus operandi simile a quello adottato da John Le Carrè, i cui personaggi agiscono all’ombra di pericolosi rivolgimenti politici che mai emergono a livello di superficie. E nel direzionare il percorso del protagonista in questo senso, il regista articola un rapporto “da remoto” tra De Wiel e il suo omologo Keys, la cui repentina scomparsa getta un alone di tensione sul banchiere, terrorizzato di incorrere nel medesimo, tragico destino del misterioso collega. Analogamente al “Bronco Henry” de Il potere del cane, dove la fantomatica figura del leggendario cowboy viene costantemente rievocata da Phil Burbank come esempio da seguire, anche qui il ricordo di Keys illumina le azioni del protagonista, seppur esso sia inteso come monito di un pericolo, come evidenza di una “colpa” di cui non bisogna seguire le tracce, pena la possibilità di incappare nei suoi stessi sbagli e scomparire nel “vuoto cosmico” dei dissidenti.

Calando la storia in un contesto politico invasivo, simile a quello riscontrabile in La scelta di Barbara di Petzold (con cui Azor condivide non solo l’atmosfera da “Stasi”, ma anche la pulizia di immagine, l’assenza di vezzi estetici e una narrazione ad incastro, con gli ingranaggi che si integrano organicamente tra loro per sfociare in un epilogo dirompente) e in continuità con l’argomentazione critica alla base della narrazione, il regista elvetico non può che instradare De Wiel sulla via della sottomissione, in un esplosivo finale in cui converge tutto il senso del racconto: per operare nel pieno dei privilegi, in un regime dittatoriale, bisogna rinunciare alla pur minima parvenza di umanità, accettando le regole di un gioco dove la soggettività di un individuo non ha più motivo di esistere.

Disponibile su MUBI (gratis per 30 giorni accedendo da questo link)

Titolo originale: id.
Regia: Andreas Fontana
Interpreti: Fabrizio Rongione, Stephanie Cléau, Elli Medeiros, Alexandre Trocki, Gilles Privat, Juan Pablo Geretto, Carmen Iriondo, Yvain Juillard, Pablo Torre Nilson, Juan Trench
Distribuzione: Mubi
Durata: 100′
Origine: Argentina, Francia, Svizzera, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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