Baby Boss, di Tom McGrath

Baby Boss viaggia fra il surreale e l’angosciante in un universo folle ma al contempo divertente e perfettamente sensato, proprio come accade nel mondo dei bambini. In sala a Pasquetta

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Tim ha sette anni, due genitori che adora e una mente fantasiosa e piena di immaginazione. La sua vita scorre perfettamente fra giochi e allegria finché un giorno piomba in casa uno strano neonato in giacca, cravatta e ventiquattrore.

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Baby Boss, in originale The Boss Baby, è l’ultima opera DreamWorks, diretta da Tom Mc Grath e tratta dal libro omonimo della scrittrice americana Marla Frazee. Era il lontano 1998 quando la DreamWorks iniziò il suo viaggio nel mondo dell’animazione con Z la formica, il cartone dal cast stellare in cui la nevrotica formica Z aveva la voce di Woody Allen. Ed erano anche gli inizi della rivalità con la Pixar che sempre nello stesso anno ambientava il suo A Bug’s Life nel mini mondo dei piccoli insetti laboriosi.

Gli anni sono passati ed entrambi gli studi di animazione hanno dato vita a universi indimenticabili, grossi orchi verdi e panda combattenti, giocattoli parlanti e roditori che vogliono a tutti i costi diventare chef. Questa volta la DreamWorks decide di addentrarsi nell’azzurro mondo dell’infanzia in particolar modo in quello della primissima infanzia e del mistero della nascita stessa. E quindi crea il suo Baby Boss, un personaggio a cui è impossibile resistere con i suoi occhi grandi e il sederino paffutello. Ma che nasconde un segreto. Il Baby Boss di Tom McGrath viaggia fra il surreale e l’angosciante in un universo folle ma al contempo perfettamente sensato, proprio come accade nel mondo dei bambini. In fondo tutto passa attraverso gli occhi di Tim che sta crescendo, ha a che fare con adulti che non capiscono e avverte la perdita di qualcosa, non tanto il privilegio di essere figlio unico quanto l’infanzia stessa.

baby boss

Baby Boss dal canto suo potrebbe essere più che altro un pronipote di Baby Herman, non sa cosa sia l’infanzia perché in un certo senso la ripudia. E se Baby Herman fumava il sigaro e giocava alle corse, Baby Boss organizza riunioni importanti dopo le quali pretende del sushi fresco. Si possono usare i due neonati per indagare (a piccoli passi) come è cambiato il modo di raccontare ed educare l’infanzia (in fondo già lo stesso Chi ha incastrato Roger Rabbit racchiudeva in nuce la modernità dei nuovi cartoni). A questo proposito Baby Boss ci sembra importante perché contiene in sé una vera e propria dichiarazione di intenti nel momento in cui Hansel e Gretel diventa una storia che parla di cannibalismo e di gente che brucia viva.

Se prima si mostravano senza timore paure inconsce come la morte (e infinite altre), ora ci si muove su un piano molto più luminoso e razionale. Ai giorni d’oggi il compito educativo viene alla luce nell’esplicito e nell’ironico, sconfina nell’universo filmico con citazioni su citazioni e si mettono a nudo le paure senza più passare attraverso il simbolismo delle fiabe. Basti pensare a Inside Out, dove le emozioni che costituiscono e incasinano Riley hanno un corpo e volto e sono protagoniste. Non ci sono giudizi di merito, i tempi cambiano, ciò che conta è che il prodotto finale sia di qualità. E Baby Boss fra lacrime e risate, lo è.

Titolo originale: The Boss Baby

Regia: Tom McGrath

Interpreti (voci originali): Alec Baldwin, Tobey Maguire, Lisa Kudrow, Jimmy Kimmel, Steve Buscemi, Miles Bakshi

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 97′

Origine: USA

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