Babygirl, di Halina Reijn
Più divertente che trasgressivo, tradisce l’anima thriller e trova una chiave grottesca per raccontare le logiche del potere. Coppa Volpi a Nicole Kidman come migliore attrice al Festival di Venezia.

Dietro la semantica grottesca dei dialoghi che destrutturano il dramma, Babygirl è un film che racconta le dinamiche del potere. Di quel tema, sdoppiato su un doppio binario, in ambito lavorativo e sessuale, la figura interpretata da Nicole Kidman, Romy, racchiude l’essenza, vestendo i panni di amministratore delegato di un’azienda di robotica di successo. Incarna l’esempio di donna riuscita a salire fino al vertici della scala sociale, temuta e rispettata dai dipendenti. Un successo che si espande anche nella sua sfera familiare, con un matrimonio apparentemente felice con Jacob, interpretato da un Antonio Banderas impacciato, e nel rapporto con le due figlie. La sua immagine perfetta nasconde però dei segreti e delle pulsioni che l’arrivo di un giovane stagista, Samuel, farà vibrare di desiderio.
La vicenda del film sembra l’espressione visiva degli studi dei dispositivi di condizionamento del potere indagati da Foucault, e più recentemente da Judith Butler, nell’inevitabile relazione di dominio che indirizza le relazioni a sfondo sessuale. Il legame della coppia esplicita l’assunto con una trama che ricorda quella di Rivelazioni, dove avviene un abuso fisico e psicologico ai danni di un impiegato. Qui quella tesi viene ribaltata nel gioco delle parti amorose a favore di Samuel, come si percepisce dallo sguardo e dai modi di fare sicuri e presuntuosi del ragazzo (o mentre balla sulle note di Father Figure di George Micheal), che da umile subalterno si trasforma nel burattinaio di una situazione sempre più torbida. Al centro di Babygirl c’è un altro rapporto pericoloso dopo quello oggetto del primo lungometraggio della regista olandese, Instinct, sulla passione nata tra una psicologa ed un molestatore suo paziente. Fantasie inconfessabili che tornano dopo Bodies Bodies Bodies, piccolo cult di genere sulle amicizie tossiche e la deleteria dipendenza social della generazione Z.
Girato prevalentemente a New York, Babygirl è un film che vorrebbe dialogare con l’attualità, anche se poi resta sulla soglia, già soltanto considerando il potenziale inespresso della parte aziendale, che riduce ad una sola battuta un discorso cruciale come quello sulla collaborazione tra le macchine e l’umano. Si rivela poco trasgressivo e con una dose davvero minima di tensione per poterlo considerare un thriller. La performance della Kidman, premiata come migliore attrice alla Mostra del Cinema di Venezia, è il vero valore aggiunto, per il coraggio di usare il proprio corpo, un ruolo molto simile a quello di Demi Moore per The Substance, che con l’ossessione ed il rifiuto dell’invecchiamento apre ad un altro capitolo d’approfondimento sulla bellezza da usare come una chiave, un’arma, e che nella sua veloce decadenza lascia addosso la paura dell’abbandono, l’inizio di una fine che solo una maschera, o un’iniezione di botulino, può scongiurare.
81° Mostra del Cinema di Venezia: Coppa Volpi a Nicole Kidman per la migliore interpretazione femminile
Titolo originale: id.
Regia: Halina Reijn
Interpreti: Nicole Kidman, Harris Dickinson, Antonio Banderas, Esther McGregor, Sophie Wilde, Leslie Silva, Vaughan Reilly, Victor Slezak, Gaite Jansen, Robert Farrior, Bartley Booz, Anoop Desai, Mary Ann Lamb, Gabrielle Policano
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 114′
Origine: Olanda, USA 2024