Bahamuth, di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Distante dalle invettive contro il pubblico e orientato verso una teatralità più codificabile, come il pesce mitico sorregge sulle spalle perle di controcultura. Tour de force fisico allucinatorio

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Paperino e Gastone so’ cugini“. Antonio Rezza lo dice entusiasta, lo ripete basito come fosse un’anafora popolaresca, un verso di una filastrocca comune che per il pubblico suona come una costruzione sonora dal significato liquido e che invece lui vuole ri-affermare ribadendone il carattere di verità. Anche l’attore non si capacita del fatto che in uno spettacolo come Bahamuth, datato 2006 e di nuovo in scena nello storico Teatro Vascello di Roma fino al 12 gennaio, una delle pochissime affermazioni insindacabilmente autentiche del testo possa risultare falsa solo perché pronunciata da un menestrello che fino a quel momento ne ha combinate a bizzeffe sul palco. Perché sì, “Gastone e Paperino so’ cugini sin dai primi numeri“, eppure anche una frase nucleare come questa diventa falsa solo perché inserita all’interno di un contesto spettacolare in cui i codici linguistici si debbono ri-negozionare in ogni minuto dei poco più dei suo 80 di durata. In Bahamuth l’inizio è, in tal senso, un’esplicita dichiarazione d’intenti: Rezza si situa silenziosamente e a luci spente al centro della scena non decidendosi a dare avvio alla performance. Gli spettatori manifestano la loro frenesia con una serie di colpi di tosse e risatine isteriche, prontamente sbertucciate da questa rockstar del teatro con ghigni e pernacchie mimetiche. Passano così un paio di minuti e solo quando di fronte a questo muro di ostilità linguistica di colpo il pubblico abbassa le pesanti tende del senso comune, Bahamuth fa respirare le sue branchie presentandoci il primo personaggio della galleria di “tipi” rezzamastrelliani: il dispettoso paraplegico che fa del suo handicap una leva per tormentare gli inservienti interpretati da Ivan Bellavista e Neilson Bispo Dos Santos. Con un’interpretazione tutta fisica che pencola tra corse da seduto sulla pedana e scatti di reni da sdraiato, Rezza non concede pietismo all’arrogante disabile la cui mitomania raggiunge picchi di crudeltà inaudita con il perentorio “Se camminavo erano cazzi per l’umanità!“.

Pur all’interno di un meccanismo rappresentativo ampiamente codificabile e stranamente pacificato – la frammentarietà delle scene sottostà infatti ad una circolarità narrativa in cui tornano personaggi, situazioni e gag raramente blasfemi – e lontano dagli eccessi verso il pubblico del quasi coevo Fotofinish, Bahamuth accumula piano piano un paradosso dietro l’altro, luoghi comuni esaspera(n)ti, tic e smorfie che fanno comunque scempio del politicamente corretto. La straordinaria scena dell’indiano d’America che continua a cantare la sua ululante nenia rimanendo chiuso nella sua tradizione mentre l’invasore capitalista gli ruba terra e uccide parentado vario è indicativa di una scrittura che supera da sempre steccati e paletti politici di costipata contingenza per abbandonarsi ad “una vita consacrata al delirio“. Così ecco che la confessione della signora Porfirio di aver avuto come unico momento di rilassatezza, durante la sua manutenzione del negozio di abbigliamento, lo stupro commesso ai suoi danni dal marito rappresenta la più crudele riflessione sulla violenza familiare che a teatro si possa avere, lontana certamente dai toni accomodanti di tutti gli altri palchi italiani ma fulminante nel suo spietato sguardo sociale. Anche lo stigma della condizione femminile in Italia non ha bisogno di essere paternalizzato quanto piuttosto liberarsi anarchicamente nella scena in cui la donna incinta interpretata da Rezza preannuncia al suo nascituro un futuro da sottosegratario se maschio mentre “se femmina so’ botte“. A quasi vent’anni dalla sua realizzazione, la riproposizione del Bahamuth di Rezzamastrella non ambisce allora a sorreggere sulle sue surreali spalle il discorso controculturale dell’oggi quanto ad infilzarlo con le sue stilettate avvelenate. La riflessione nasce secondo vie imperscrutabili per questi sostenitori mitici del mondo: se Atlante creò le Canarie con gocce del suo sperma, questo Bahamuth si accontenta di generare più modestamente un essere meschino in grado soltanto di lamentarsi così: “A me i brufoli, insieme all’ansia, mi hanno sfigurato la faccia

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