Barry Levinson – Lo stile del mestiere
Si è sempre contraddistinto per una multiformità stilistica che si concretizza in un’aderenza tra forma e contenuto perfettamente equilibrata in ogni suo singolo caso filmografico. Uno stile spesso invisibile, sfumato, che cerca soprattutto l’allestimento in immagini delle potenzialità del testo. Un cinema scritto ma mai letterario, incline alla commedia umanistica,
Per anni è stata opinione comune che a Hollywood esistessero due tipi di registi: quelli che hanno un proprio stile e lo applicano alla materia del film per renderlo personale e quelli che decidono quale stile usare a seconda del tipo di film da dirigere. Bene, qualora esistesse o avesse senso – a oggi non ne siamo più completamente sicuri – questa doppia categoria di cineasti, Bary Levinson con pochi dubbi entrerebbe a far parte del secondo gruppo. A differenza di altri registi della sua generazione l’autore di The Bay si è sempre contraddistinto per una multiformità stilistica che si concretizza in un’aderenza tra forma e contenuto perfettamente equilibrata in ogni suo singolo caso filmografico. È uno stile spesso invisibile quello di Levinson. Sfumato, trasparente, che cerca soprattutto l’allestimento in immagini delle potenzialità del testo (la sceneggiatura). Non è un caso che i suoi inizi di carriera siano contraddistinti proprio da una importante esperienza sceneggiatore per gli ambienti televisivi e per il cinema di Mel Brooks.
Con l'Oscar vinto per qualche anno Levinson diventa così uno dei nomi sicuri a cui affidare progetti ambiziosi e di cassetta. Sono da interpretare in questo modo le esperienze con alterne fortune di Avalon, Bugsy e Toys. Soprattutto il secondo – datato 1991 e visto al tempo come veicolo per una celebrazione hollywoodiana di Warren Beatty (interprete e produttore del film), può rivelarsi a distanza di anni come interessante contaminazione tra melodramma, gangster movie e omaggio al cinema. Se non proprio un capolavoro alcuni spunti di Bugsy avrebbero concettualmente portato un decennio dopo a The Aviator di Scorsese e a Black Dahlia di de Palma.
Ripercorrendo la filmografia di Levinson si può riconoscere la capacità dell'autore di Rivelazioni di attraversare i generi cinematografici più disparati in modo originale. Meno teorico e talentuoso di Lawrence kasdan e Ron Howard, il mestiere di Levinson si è misurato nel fantasy spielberghiano Piramide di paura (diventato un cult per i ragazzini cresciuti negli anni '80), nel fantascientifico Sfera, nel sottovalutato film sul baseball Il Migliore, appunto nell'horror con The Bay. E nella sua critica alle integrazioni tra mass media, politica e arte della manipolazione un film come Sesso e potere conferma le inclinazioni progressiste del cineasta americano, ponendo le basi per quello che a conti fatti – visto anche The Bay – diventa uno suoi dei temi prediletti, come giustamente ha rilevato la nostra Francesca Bea: "la menzogna come impalcatura che sostiene il reale, sia esso il mondo politico, quello dello spettacolo o il Sogno Americano stesso". Un tema che possiamo riconoscere in tante opere firmate da Levinson: da Good Morning Vietnam allo stesso Bugsy, passando per i certamente non memorabili Jimmy Hollywood, L'uomo dell'anno e Disastro a Hollywood. Neanche poco per un "semplice" mestierante.