Bava, Margheriti, la modestia e l'horror: incontro con Paolo Fazzini

Inizia la rassegna "Bava negli occhi", tutto il cinema di Mario Bava. "Sentieri selvaggi" ha incontrato Paolo Fazzini, autore del documentario "Le ombre della paura-Il cinema italiano del terrore 1960/1980" e del libro "Gli artigiani dell'orrore – 50 anni di brivido"

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Paolo Fazzini, trentuno anni, regista e documentarista: da Ascoli Piceno a Roma, il cinema tra passione e mestiere. Sentieri selvaggi ne ha raccolto le impressioni scaturite dalla creazione del documentario "Le ombre della paura-Il cinema italiano del terrore 1960/1980", presentato a Venezia 2004 e scelto per aprire – come logico inquadramento storico e tematico – la rassegna completa dei film di Mario Bava, "Bava negli occhi", a Roma dal 21 ottobre al 1° novembre. Del 2004 il suo volume "Gli artigiani dell'orrore – 50 anni di brivido" (ed. "Un mondo a parte").

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Paolo, com'è nata la passione per l'horror?
Lasciando da parte facili sociologismi, potrei dire che tutto parte da Lucio Fulci. Da ragazzino, vivendo in una città di provincia, credevo che il cinema horror italiano fosse una scopiazzatura di quello americano. Poi ho iniziato a leggere di cinema, ad osservare con maggiore curiosità la produzione italiana del genere, ed ho cominciato a capire che era tutto il contrario. La scoperta del cinema di Fulci, poi, ha fatto davvero scattare qualcosa.


E Bava?
Bava è venuto dopo, perché era molto difficile trovare i suoi film. Intanto la passione per l'horror ha continuato a svilupparsi, e così è stato per diversi anni. Poi è arrivata l'università: si studiavano i classici del cinema, e per un po' ho accantonato l'horror. Ma Roma mi ha permesso di incontrare il cinema di Bava.


Come hai pensato "Le ombre della paura"?
Insieme a Marco Cruciani e Daniele Casolino, eravamo interessati a riprendere il linguaggio dei documentari anni Sessanta: secondo noi quel poco di informazione sul cinema horror italiano, visibile in tv, era di bassa qualità; i servizi erano di portata limitata, nessuno dava la visione d'insieme del fenomeno, nessuno faceva davvero parlare i protagonisti. Col linguaggio classico del documentario abbiamo cercato di colmare questo vuoto.


E' stato difficile prendere contatti con i vari protagonisti del film?
Oggi, a causa dell'accresciuta attenzione verso il tema, sarebbe sicuramente molto più complicato (il documentario è di tre anni fa, ndr); all'epoca, invece, non abbiamo avuto grossi problemi: quasi tutti si sono prestati con piacere. In particolare conservo un bellissimo ricordo di Antonio Margheriti, che ho percepito come la persona più umile che si potesse trovare sulla faccia della Terra…


Infatti il documentario è dedicato a lui…
Sì, Margheriti è venuto a mancare poco dopo la fine delle riprese. Pensa che non voleva neanche abbellire il set in cui era ambientata l'intervista con le locandine dei suoi film… "Così sembra che mi voglia fare bello…", diceva. Con la sua modestia era davvero il degno collega di Mario Bava.


In effetti, si vede che non era perfettamente a suo agio…
Lui si definiva una "vittima delle interviste"… Capirai, con tutti gli americani che lo cercavano senza che lui, in fondo, ne comprendesse appieno il perché… Comunque, il suo cuore era per la fantascienza, che in Italia non poteva fare.


A proposito di modestia, tu ci credi veramente al Bava "artigiano che faceva seggiole", o non pensi forse ad un regista esperto, perfettamente conscio delle proprie capacità?
L'idea che mi sono fatto è che Bava era assolutamente conscio della sua bravura; credeva davvero in ciò che faceva, e i suoi film nascevano da interessi specifici verso certe tematiche… Il suo genere preferito era proprio l'horror, ma libero com'era da paranoie di tipo autoriale, ecco che non si tirò indietro di fronte al western, alla fantascienza o alla commedia. Di certo era disilluso verso la "macchina produttiva" cinema; si dispiaceva quando grandi autori sbirciavano i suoi set per carpirne qualche segreto, evitando poi magari di salutarlo nelle occasioni mondane…


Si ha l'impressione che certi suoi giochi (quello della scena finale de "I tre volti della paura", per esempio) fossero una dimostrazione di intellettualismo al quadrato: "facendo uno scherzo sarò un vero iconoclasta del cinema, ma non lo darò a vedere"…Concordo… Dai racconti che ho messo insieme, Bava non si vantava mai di queste trovate, tendeva piuttosto a schermirsi, a mettersi da parte: e le testimonianze in merito sono unanimi. Tra l'altro non era neanche il tipo di regista che viveva immerso nella macchina cinema: fuori dal set, educatamente, se ne stava per conto suo, come tutti coloro che hanno una personalità schiva. Bava era davvero un "autore": non nel senso che comunemente si attribuisce ad un termine che evoca filosofie e poetiche di rango elevato, ma perché esprimeva la sua personalità in ogni scelta stilistica dei suoi film, anche quelli minori.


Che atteggiamento hanno avuto le persone che hai incontrato nel documentario, nei confronti di Mario Bava?
Nessuno, dico nessuno, ha mai detto una sola parola negativa nei suoi confronti…


Nessuno… Sarà stato il rispetto dovuto alla memoria di una persona scomparsa?
Per niente. Era piuttosto l'affetto nei confronti di una persona gentile, educata, come regista e come uomo. La sua umiltà e disponibilità nei confronti degli altri, evidentemente, hanno lasciato un'impronta forte nel tempo.


Cosa pensi del florilegio di horror che nel recentissimo passato ha riempito l'elenco dei film usciti in sala?
Mah, il cinema è mercato, e l'horror tira… E poi, parliamo di un genere che ha conosciuto, forse, una minima flessione nel corso degli Novanta, ma che a livello internazionale non ha mai smesso di attirare l'attenzione. Certo, di horror italiano non ce n'è quasi più da metà anni Novanta in poi…


Con tanto orrore a riempire la realtà quotidiana, non pensi che sarebbe da aspettarsi una maggior richiesta di film "rosa"?
Io, personalmente, preferirei che tutti i generi avessero lo stesso spazio distributivo; e, comunque, non dobbiamo dimenticare che l'esigenza di emozioni forti rimane primaria nell'atto della visione. Per non parlare poi dell'ovvia necessità, da parte dello spettatore, di sfogare tensioni che nascono proprio dall'essere immersi nella realtà quotidiana. La cosa che trovo insopportabile, piuttosto, è che un patrimonio intellettuale come quello dell'horror italiano non dia luogo ad una rivisitazione da parte dei nostri registi di oggi, e che invece questo sforzo interpretativo e di adeguamento alla realtà attuale venga messo in atto da autori stranieri, per i quali personaggi come Mario Bava sono dei miti assoluti.


La rassegna completa dei film di Mario Bava verrà presentata da Sentieri selvaggi a Roma, presso il cineclub Detour, via Urbana 47a, dal 21 ottobre al 1° novembre.


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