Bellaria Film Festival 41: indipendente contemporaneo
Cosa rende il cinema indipendente tale? Ecco tre visioni dal Bellaria Film Festival che ragionano sul tempo e sull’età contemporanea (letteralmente): Danilo Monte, Riccardo Giacconi, Masbedo
Cos’è il cinema indipendente? Sono opere capaci di farci dimenticare come, dove e perché sono nate, quindi poi capaci di farcelo domandare.
enrico ghezzi
Queste parole, nere su rosa, campeggiano sul programma del Bellaria Film Festival. Sono la stella polare da cui la quarantunesima edizione del festival parte per mappare, sulle rive dell’Adriatico dal 10 al 14 maggio, il cinema indipendente. Una missione quasi impossibile, come imporsi di mappare le dune del deserto. D’altronde, il cinema indipendente sembra un po’ una tigre blu proveniente da un racconto di Borges: c’è chi l’ha avvistata e ha paura di incontrarla, chi la usa per truffare, chi giura che non sia mai esistita… e chi si perde tra la sua livrea. Seguendo le parole di uno dei padri di Blob e Fuori Orario, la sua particolarità non sta tanto nelle sue dinamiche produttive (quale film può negare di essere dipendente da qualcosa o qualcuno?), quanto in qualcosa di più intimo. Nel profondo, tra i meccanismi di questi film spesso meticci, che in una furia ricombinatoria mescolano formati materiali supporti, si nasconde un movimento magmatico, dove tempo, spazio e senso si negano e riaffermano contemporaneamente.
Ecco, se ci soffermiamo un attimo su quest’ultima parola diventa chiaro quanto sia importante questo tipo di cinema per la nostra epoca. Che forse va intesa letteralmente: età contemporanea non come l’oggi, quanto come l’epoca nella quale tempi diversi comunicano e convivono. Vecchi futuri ormai andati in pezzi riemergono al Bellaria Film Festival. Nel cortometraggio di Danilo Monte, Ultimo impero, il presente è un crocevia. Attorno e dentro lo scheletro di cemento di una mitica discoteca piemontese vive un’umanità emarginata ma orgogliosa. Si sopravvive come si può tra parcheggi vuoti, fast food e cumuli di immondizia. Un’autostrada sempre trafficata è il confine mortale. Non siamo in un regno a venire ballardiano, la catastrofe è all’orizzonte, sì, ma perché è ormai passata. Bisogna reimparare a vivere nelle macerie, comprese quelle della nostra umanità.
Come successo a Pantelleria. Durante la Seconda guerra mondiale, l’isola era un avamposto militare strategico e per questo venne bombardato pesantemente dagli Alleati. L’immaginario, però, è un’arma tanto importante quanto le mine. Quindi, per realizzare un combat movie, quel che restava degli edifici dell’isola vennero buttati giù a favore di macchina da presa. Quelle immagini sono state proiettate dal duo MASBEDO su ciò che ne rimane oggi. Su quei muri vivono ancora migliaia di storie, anche contrastanti, con le quali gli abitanti dell’isola cercano di trovare una soluzione a un trauma. Non tanto quello del primo vero bombardamento, come raccontato dagli stessi registi, ma del secondo, simbolico: in guerra ci si può anche aspettare che la propria casa venga distrutta, ma che umiliazione è stata vederle rase al suolo per un film di propaganda!
Da dove cominciare la ricostruzione? Forse non è il caso di tenere davanti l’immagine del rudere, come una ferita aperta. Si deve, forse, chiudere gli occhi e ascoltare. Schermo nero. Ripensiamo alle parole di ghezzi e guardiamo alla negazione trasformarsi in riaffermazione. Dal buio emergono delle parole, dei racconti di una ragazza che ragiona sui progressi dell’intelligenza artificiale, sulle storiche marionette di Carlo Colli e sull’atto di fede che tiene per mano entrambi. “Davanti a un caffè, le ho chiesto della singolarità”, dice la voce narrante di Animal di Riccardo Giacconi. Il diaframma si apre, l’oscurità si spezza, un’immagine emerge. Con un aleph in ogni pixel.