“Bellas Mariposas”, di Salvatore Mereu
Bellas Mariposas è una convinta sfida nel cinema italiano, e anche un audace azzardo produttivo (Gianluca Arcopinto tra i responsabili): per tutta la durata del film Mereu ha la convinzione di non volersi fermare davanti a nulla, e di voler mostrare e tirare in ballo apertamente ogni cosa, con una schiettezza e una benedetta sfrontatezza in quello che finisce letteralmente nell’inquadratura o nei dialoghi
Una giornata nella vita di Cate e Luna, entrambe 11enni alla periferia di Cagliari, quasi una reincarnazione bambina delle Lilli Carati e Gloria Guida del perfido Avere vent’anni di Fernando Di Leo: provocatrici in erba, trascorrono le ore ad ammiccare e scherzare pesantemente e pericolosamente con i ragazzi e gli uomini più grandi del quartiere, dell’autobus che le porta in spiaggia, delle strade della città semideserta, e così via. D’altra parte l’intero loro immaginario è governato, quasi ossessionato dal sesso, che riempie i desideri e le azioni dei coetanei che abitano gli stessi palazzoni-alveare, e delle figure di famiglia, fratelli tossici e teppistelli e padri erotomani tra spogliarelli sulle reti private e palpeggiamenti su mezzo pubblico. Quando la massiccia tensione morbosa accumulata dal film sta per esplodere trasformandosi nell’inevitabile gesto inconsulto di violenza (però stavolta non indirizzato alle bambine, ma diretto a Gigi, “l’innamorato” di Cate), Mereu s’inventa una notte surreale dove succede di tutto, e tutte le traiettorie si ribaltano in qualche trovata bizzarra di troppo (si tratta senza dubbio della sezione dell’opera che “tiene” meno), nel tentativo di chiudere la dimensione allo stesso tempo corale e intima di Bellas Mariposas in una specie di allegoria conclusiva e “ferma”.
Fortunatamente, per tutta la durata del film Mereu ha la convinzione di non volersi fermare davanti a nulla, e di voler mostrare e tirare in ballo apertamente ogni cosa, con una schiettezza e una benedetta sfrontatezza in quello che finisce letteralmente nell’inquadratura o nei dialoghi che al cinema avevamo potuto incontrare forse solo in alcune commedie messicane o spagnole di qualche anno fa. In questo il regista si dimostra miracoloso nel lavoro con gli attori bambini (come già si poteva riscontrare nel precedente Tajabone, realizzato proprio nel corso di un laboratorio scolastico tenuto da Mereu), più che nelle suggestioni che provengono dalla pagina scritta (di suo pugno), alla quale avrebbe forse giovato la sfrondata di qualche situazione (ad esempio la pessima scenetta con la signora del piano di sopra che defeca cantando a squarciagola nella vasca da bagno alle quattro di notte in compagnia del marito).
Ma di Bellas Mariposas interessa in maniera decisamente maggiore tutto l’apparato espressivo, anche complesso con una arzigogolata stratificazione di incessante monologo “a incastro” fatto in faccia alla mdp dalla piccola protagonista, esplorazioni labirintiche del borgesiano microcosmo di periferia che sembra in costante mutamento ed espansione sia verticale che orizzontale, e un certo colorato bozzettismo grottesco di miniritratti in appartamento di famiglia sottosopra.
Mereu cerca di stare dietro a questa grossa macchina narrativa che ha imbastito: i piccoli fallimenti dell’esperimento non inficiano l’assoluta e lodevole ambiziosità del tentativo.
Regia: Salvatore Mereu
Interpreti: Sara Podda, Maya Mulas, Micaela Ramazzotti, Davide Todde, Luciano Curreli, Marina Loi, Rosalba Piras, Simone Paris, Anna Karina Dyatlyk, Giulia Coni, Silvia Coni
Distribuzione: Viacolvento
Durata: 100'
Origine: Italia, 2012