Belle, di Mamoru Hosoda

Dopo la nomination agli Oscar per il precedente Mirari, Hosoda ritorna a parlare di dimensioni parallele, fattezze animalesche che celano le nostre vere identità, e scaramucce tra adolescenti

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Difficile non citare Ready Player One scrivendo del nuovo film di Mamoru Hosoda, ambientato per buona parte in una dimensione parallela alla quale si accede attraverso l’app U, dove ognuno può librarsi nei cieli virtuali (che riportano alla mente, per il look di geometrie scarne da scheda madre su un orizzonte da schermo nero, la city of drones di John Cale e Liam Young) con le fattezze di un avatar personalizzato che ne cela la reale identità, che rimane segreta. Questo perché anche l’universo di U è un incrocio di riferimenti che arrivano fino agli espliciti rimandi che Hosoda fa al Bella e la Bestia di casa Disney del 1991. Che non ci sia (più?) nulla di strano ad incontrare un castello disneyano tra le intelligenze artificiali e le balene di pixel è qualcosa che proprio in Giappone hanno imparato molto prima di noi, e infatti la Belle del titolo, che diventa una superstar delle performance canore da milioni di views (esibizioni coordinate da effetti e coreografie digitali come i recenti live dentro Fortnite o certi listening party in streaming), somiglia da vicino alle popstar ologramma che spopolano in Oriente da qualche tempo.

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Dopo la nomination agli Oscar per il precedente Mirai, Hosoda ritorna sui territori meno elegiaci che hanno costruito le fondamenta della sua produzione anche seriale e del suo seguito in ambienti sempre più autoriali: non va dimenticato che il regista è tra gli autori dell’epica dei Digimon (forse apertamente omaggiati tra le decine di avatar che popolano il mondo di Belle), mentre qui ritroviamo anche l’abituale sensibilità nel tratteggiare il mondo studentesco e le sue lotte per la popolarità, e la capacità di raccontare drammi intimi come lutti e violenze domestiche mantenendo al contempo il piglio avventuroso tra sfide, combattimenti e antagonisti con armi invincibili (in grado di apportare la ferita più grave, quella dello svelamento dell’identità che si cela dietro all’avatar).
Se i portali che aprono livelli alternativi della realtà – e gli alter ego bestiali – sono un elemento ricorrente delle storie di Hosoda, come l’attenzione verso la caratterizzazione di una fittissima schiera di personaggi secondari che si fa reale famiglia a stringersi intorno alla protagonista, qui si aggiunge l’impegno nei confronti di un apparato musical importante, costruito intorno a lunghi (ed indubbiamente emozionanti, come il gonfio finale) momenti affidati a canzoni interpretate dalla voce della protagonista, la musicista Kaho Nakamura.
Hosoda è in grado così di veicolare attraverso la familiarità di una storia di innamoramenti e scaramucce tra i cortili di scuola, e di ritrovamento della fiducia in se stessi e negli altri per affrontare la vita, anche alcune delle tematiche-chiave del nostro presente nel metaverso: la protezione dell’anonimato, l’ossessione per la diretta perenne, la possibilità di seminare indizi sulla nostra privacy lasciando traccia dei nostri dati tra le azioni quotidiane che compiamo davanti alle mille finestre aperte dei nostri browser, ma che a volte possono essere paradossalmente la nostra unica salvezza dalle prigioni private.

 

Titolo originale: Belle: Ryu to Sobakasu no Hime
Distribuzione: Koch Media. In collaborazione con I Wonder Pictures
Durata: 127′
Origine: Giappone, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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