Benigni e Troisi tornano in sala con Non ci resta che piangere

roberto benigni e massimo troisi in non ci resta che piangere

Il film rappresenta per entrambi una novità e al tempo stesso un felice ritorno a una forma di comicità antica, che si fonda sulla parola e sulla fisicità, su dialoghi ingarbugliati e senza senso, su una mimica accentuata, su giochi linguistici e battute che si ripetono ancora oggi, come una lezione di storia appresa e mai dimenticata. Una recensione in forma epistolare. In sala da oggi fino al 4 marzo.

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Sono trascorse più di tre decadi dall’uscita di Non ci resta che piangere, che torna al cinema in versione restaurata e rimasterizzata da oggi fino al 4 marzo. Il film, che riscosse un clamoroso successo al botteghino, è diretto, scritto e interpretato dall’inedita coppia formata da Roberto Benigni e Massimo Troisi, nelle vesti rispettivamente di un maestro delle elementari e di un bidello che per uno scherzo del destino si ritrovano a viaggiare indietro nel tempo, fino al 1492: i due amici, oltre a improvvisarsi inventori, decidono di recarsi in Spagna per cercare di impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l’America.
Nell’immaginario quotidiano Non ci resta che piangere è una fonte inossidabile di ilarità e citazioni che deve la propria popolarità al sodalizio di due attori, e due dialetti, lontani geograficamente ma affini per versatilità: il napoletano genuino e non retorico di Troisi e il toscano esuberante di Benigni. La nuova uscita nelle sale non è soltanto un ulteriore riconoscimento del valore comico della pellicola e della bravura di grandi artisti (tra gli altri ricordiamo Carlo Monni, Paolo Bonacelli e Amanda Sandrelli), ma è soprattutto un’occasione per esorcizzare la prematura scomparsa di un amico sensibile e talentuoso come Massimo. Per questo, e per omaggiare la celebre sequenza della lettera a Savonarola, abbiamo pensato di scrivere una recensione in forma epistolare, immaginando di indirizzarla ai due attori protagonisti.

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Carissimi Massimo e Roberto,

sono sicuro che non vi offendete se mi rivolgo a voi in tono confidenziale, del resto non siamo più nel 1400, quasi 1500. Ho rivisto il vostro film, Non ci resta che piangere, l’unico che avete girato insieme. Quanto mi siete piaciuti! La prima volta che lo vidi ero al liceo e restai incollato alla sedia. Mi aveva colpito in particolare il preludio fantastico della storia che permette di inanellare tutte quelle bizzarre situazioni e quegli assurdi personaggi che incontrate. Ho letto che la sceneggiatura l’avete scritta con Giuseppe Bertolucci, con cui tu, Roberto, avevi già collaborato da attore in Berlinguer ti voglio bene e da regista in Tu mi turbi, una satira a episodi sulla società e la religione. Tu, invece, Massimo, avevi fatto due commedie che riflettevano in modo profondo e un po’ malinconico sull’amore (Ricomincio da tre e Scusate il ritardo). Non ci resta che piangere rappresenta quindi per entrambi una novità e al tempo stesso un felice ritorno a una forma di comicità antica, che si fonda sulla parola e sulla fisicità, su dialoghi ingarbugliati e senza senso, su una mimica accentuata, su giochi linguistici e battute che si ripetono ancora oggi, come una lezione di storia appresa e mai dimenticata (“Ricordati che devi morire!” “Sì, sì… no… mo’ me lo segno…”). L’alchimia tra di voi, sia fuori dal set che dentro, resta impressa sullo schermo: Massimo, con il tuo fare timido e impacciato, sei il comprimario ideale di Roberto, più goliardico e sfrontato. Grazie alla naturalezza con cui recitate e a un’improvvisazione a volte sin troppo manifesta, riuscite a creare un congegno umoristico e sentimentale che sopravvive negli anni e che acquista forza ed espressività a ogni visione.
A proposito, delle due versioni del film, quella cinematografica e quella estesa, devo confessare che preferisco la prima per la presenza di Leonardo da Vinci. La sequenza in cui provate a rivoluzionare il passato spiegandogli alcune invenzioni e teorie moderne è costruita in modo che la comicità sia inversamente proporzionale al livello culturale: partite con il treno (“Binario: du’ pezzi di ferro duro con du’ cose di legno dentro”); gli parlate di Marx e la coscienza di classe, di Freud e l’inconscio, niente da fare; passate a cose più semplici come il termometro (“35: debole… 39, 40, 41, 42: rossissimo, grave, cioè ospedale”) e il semaforo, e qui la scena si interrompe. Riprende poco dopo con il gioco popolare della scopa, ma la confusione regna nello sguardo di Leonardo. Il suo genio sembra solo una leggenda…

E veniamo al finale. Al liceo non mi capacitavo della scelta di lasciare la storia in sospeso, senza una vera e propria conclusione. Che fate? Dove andate? (non rispondetemi: “Un fiorino!”) Con il tempo ho capito che il vostro era un invito a prendere la vita come viene, con leggerezza, malgrado gli imprevisti e le contraddizioni. Ma il titolo del film, in fondo, già lo riassumeva. 

Bene. Ora che vi ho detto tutto non mi resta che salutarvi. Grazie Massimo! Non ti preoccupare Roberto, il mio ringraziamento va anche a te, in misura uguale: 50% e 50% per essere corretti.
Con stima e affetto

Un peccatore come voi

Regia: Roberto Benigni e Massimo Troisi
Interpreti: Massimo Troisi, Roberto Benigni, Paolo Bonacelli, Iris Peynado, Amanda Sandrelli, Carlo Monni, Livia Venturini, Peter Boom
Origine: Italia, 1984
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 107’

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