Benvenuti a Trumpland! – L’anima nera di Donald Trump, di Riccardo Valsecchi

E’ facile cercare il successo di Trump, nel cuore nero d’America. Ha buon gioco Riccardo Valsecchi a trovare David Duke e a investirlo del ruolo di simbolo vivente della nascente nazione Trumpiana.

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Chi vota Donald Trump? E’ questa la domanda che, sin dalla prima vittoria alle primarie repubblicane, è rimbalzata tra media mainstream e i salotti buoni mondiali, soprattutto nel cuore di quell’Europa sempre pronta a farsi sorprendere, infastidita, dai colpi rabbiosi di un disagio popolare crescente.  Il tycoon newyorkese, partito come l’outsider stravagante da deridere, è diventare, ad un passo dallo Studio Ovale, il paladino mondiale delle destre estreme e populiste. E’ stato davvero facile per i liberals ironizzare sulla sua capigliatura, sulle sue smorfie e sul suo eloquio (fenomenale da questo punto di vista l’imitazione di Alec Baldwin al SNL) . Eppure, il clown, accreditatosi come il nemico del politicamente corretto e dell’establishment, soprattutto del proprio partito (chiedete al povero Paul Ryan), è diventato il paladino di quegli uomini ormai diventati senza punto di riferimento.  The Donald, pur odiato da tutte le minoranze etniche statunitensi (è riuscito, praticamente, a insultare chiunque), è riuscito a diventare l’eroe di quella classe media, fatta da bianchi poco istruiti e sull’orlo della povertà,  che identifica il proprio lento declino demografico e politico con fantomatici nemici.  Gli afroamericani, i latinos, la Cina, i musulmani, la Silicon Valley o Hillary, sono tutti ottimi capri espiatori con cui attaccare battaglia, guidati dal nuovo rumoroso, affasciante, condottiere. Un “dux” dai capelli paglierini e le cravatte rosse che guiderà questi uomini, schiacciati nella loro angoscia di essere accerchiati, verso la pace armata dell’isolazionismo e del conservatorismo sociale.

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E’ onestamente facile, cercare il successo di Trump, nel cuore nero di un’America intollerante, stanca e spaventata. Ha buon gioco l’italiano Riccardo Valsecchi con L’anima nera di Donald Trump a trovare il terribile David Duke e a investirlo del ruolo di simbolo vivente della nascente nazione Trumpiana. Razzista e antisemita, Duke è stato per anni capo di una fazione del Ku Kux Klan e ora è un rispettato opinion leader della destra estrema. Il suo convinto supporto per la causa repubblicana, i suoi proseliti per sostenere la campagna del tycoon, anche se motivati da meri tornaconti personali (Duke ammette candidamente che il successo di Trump è la via migliore per lanciare la propria scalata politica), sono esempi concreti di un legame innegabile tra la destra più estrema e il candidato del GOP.

L'anima nera di Donald Trump Sempre pronto a ostentare una rarefatta calma, come un vecchio gerarca fascista in esilio, Duke con i suoi deliri e con la sua placida violenza, sottolinea più di altri, il rapporto che è nato tra l’imprevedibile affermazione del tycoon e il risveglio delle correnti suprematiste del sud statunitense, dai vari gruppi filonazisti e nostalgici fino al movimento indipendentista texano.  Valsecchi, però, nel schierare il ticket Trump-Duke, sembra nascondersi dietro lo scontento ritratto del folle razzista, rispondendo alla decisa domanda elettorale iniziale con la risposta più banale e consolatoria: “Trump è votato dai matti e dai fascisti”.  Cosi, però, non solo si compie una sintesi errata e superficiale ma s’ignora deliberatamente il fatto che nel nome di Trump si è creato, anche se in molti casi mal volentieri, un compromesso tra i vecchi esponenti del partito (Rudy Giuliani, Newt Gingrich) e la destra evangelica, tra i Tea Party e le lobby delle armi. Un minestrone che ha avuto di esaltare la base più stanca, pronta a sostenere contro tutto e tutti il proprio Obama di destra.

michael-moore-in-trumplandCome Valsecchi, anche il più noto Michael Moore ha tentato di entrare nella mente nel mondo di Trump, facendo uscire in fretta e furia il suo ultimo Michael Moore in Trumpland. Il film nasce dallo spettacolo che Moore ha fatto al Murphy Theatre di Wilmington in Ohio, feudo del tycoon. Moore è un personaggio non troppo dissimile da Trump, soprattutto nella sua continua ostentazione di essere “indesiderato” e “ostacolato da tutti”. Il suo spettacolo, dunque, parte da una fascinazione che il regista ha per il fenomeno e dal tentativo di affrontarlo nel modo più lucido possibile. Usando l’impalcatura della stand up comedy, il regista mette in scena un accorato e autoreferenziale esercizio di retorica, coerente con tutta la sua opera documentaristica. Il regista, riluttante sostenitore di Hillary, di fronte alla peggior platea (composta di convinti trumpiani), espone le sue tesi radicali con la forza di chi, in modo paternalista, è convinto di convertire gli infedeli alla via della Verità.  Senza contraddittorio, il performer elenca i mali del demonio per il meccanismo del voto di protesta che guida la mano di questi americani. Purtroppo anche lui, si perde nella propria poetica partigiana, mancando l’obiettivo dell’illuminante ritratto sociale. I due “fallimenti” diventano cosi i segnali dell’impossibilità, forse a caldo, di guardare in faccia il vero volto degli Stati Uniti. Un volto che, dopo l’otto novembre, in un modo o nell’altro, sarà chiaro a tutto il mondo.

 

Titolo originale: The Nazi Hustle

Regia: Riccardo Valsecchi

Distribuzione: CineAma

Durata: 57′

Origine: Italia 2016

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