BERGAMO FILM MEETING 24 – David Lean, creatore di kolossal, ma non solo

A quindici anni dalla sua morte, la retrospettiva sul grande regista inglese, fiore all'occhiello del Bergamo Film Meeting 24, permette di ri(scoprire) capolavori senza tempo quali Lawrence d'Arabia, Il dottor Zivago e Il ponte sul fiume Kwai.

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Ci voleva il festival di Bergamo per rendere omaggio, con la prima retrospettiva completa in Italia, a David Lean, regista tra i più celebrati degli anni Cinquanta e Sessanta, ma tra i meno ricordati, la cui rivalutazione, a quindici anni dalla morte (avvenuta il 16 aprile 1991), prosegue però in maniera costante e ininterrotta. Alzi la mano chi non ha visto almeno una volta Lawrence d'Arabia (1962) o Il dottor Zivago (1965, o almeno l'affettuosa rivisitazione che Nanni Moretti ha fatto in Palombella Rossa), non ha parteggiato per i prigionieri inglesi di Il ponte sul fiume Kwai (1957), non si è emozionato di fronte ai lussureggianti paesaggi indiani di Passaggio in India (1985). Lean ha segnato la storia del cinema con kolossal entrati di diritto nella memoria collettiva, regalando ad alcuni attori l'ingresso di diritto nella leggenda della cinematografia mondiale (cosa sarebbero Peter O'Toole e Omar Sharif senza Lawrence d'Arabia e Il dottor Zivago?) e diventando un regista da Oscar, con sette statuette per Il ponte sul fiume Kwai e Lawrence d'Arabia, cinque per Il dottor Zivago.

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Eppure, e qui sta il merito di una retrospettiva su Lean, limitarsi a questi film nel considerare la carriera del regista inglese sarebbe riduttivo. L'opera di David Lean è, infatti, un corpus molto più vasto, che copre, parlando solo di regie, una quarantina d'anni, e che iniziò con mansioni varie nel 1927, quando Lean aveva solo diciannove anni. Quindi vale la pena, per esempio, soffermarsi sulle pellicole dei primi anni Quaranta, tra le quali spicca Breve incontro (1945), melodramma interpretato da Celia Johnson e Trevor Howard, esemplarmente diretto, che narra la breve e sofferta storia d'amore tra un uomo e una donna entrambi sposati, girata in un livido bianco e nero carico di tensione rappresa, sempre in bilico tra il frizzante humour tipicamente britannico e la deriva sentimentale dei protagonisti.

Lean, inoltre, ha anche realizzato due delle migliori riduzioni cinematografiche di romanzi di Charles Dickens, Grandi speranze (1946) e Le avventure di Oliver Twist (1948). Quest'ultimo, in particolare, unanimemente considerato il miglior adattamento del romanzo, è costruito come un melodramma a tinte fosche, incentrato com'è sulla figura del delinquente Fagin, straordinariamente interpretato da Alec Guinness. Il film, tuttavia, rivela anche una notevole abilità nella costruzione dello spazio filmico, soprattutto nella fabbricazione dei bassifondi londinesi nei quali si svolge gran parte dell'avventura di Oliver e la cui descrizione approfondita è uno dei pregi del romanzo di Dickens; tutto ciò diventa funzionale allo sviluppo narrativo e contribuisce all'incremento della tensione che sfocerà nel drammatico finale.


E poi, naturalmente, ci sono i kolossal, la cui visione in sala regala momenti di autentica suggestione e che, con tutta probabilità, continueranno a fare scuola per molti anni a venire. È, senza alcun dubbio, il grande schermo a offrire il palcoscenico ideale per i grandi spazi del deserto africano di Lawrence d'Arabia o gli esotici panorami di Passaggio in India. È la magia della sala a restituire a pellicole come queste la loro vibrante autenticità, il fascino un po' demodè di epoche lontane che rifulge però di luce nuova nell'incanto di una proiezione a luci spente.


E non va dimenticato un film maestoso e imponente come La figlia di Ryan (1970), ambientato nell'Irlanda della prima guerra mondiale, film che fu un inatteso insuccesso al botteghino e che costrinse Lean ad attendere molti anni prima di realizzare Passaggio in India, l'ultimo film di una carriera comunque eccezionale, alla quale il BFM ha reso un giusto e doveroso omaggio.

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