BERGAMO FILM MEETING 25 – "Risposte di un artigiano ingenuo": a pranzo con Jan Sverak

Al pranzo con il regista ceco organizzato dal Festival per i giornalisti, Sverak ci parla del rapporto con il padre, dei contrasti con Hollywood, del nuovo film appena uscito, dei progetti futuri. E ci si ritrova seduti allo stesso tavolo con una persona estremamente seria, fiera, modesta, ma al contempo terribilmente divertente.

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Al pranzo con il regista ceco organizzato dal Festival per i giornalisti al primo piano di un delizioso Caffé bergamasco, si ha la conferma di due cose che già si sospettavano da un po'. La prima, è che Jan Sverak è persona estremamente seria, fiera, modesta, ma al contempo terribilmente divertente. La seconda, che Jan Sverak è un talento visionario ("una sorta di Ivan Reitman ceco" – e si scopre che Reitman è di origine ceca già di suo…). Dice: "è da circa dieci anni che sogno di lavorare ad un film senza attori né dialoghi. Forse questo è l'anno giusto che questo film lo faccio davvero." Dice, ancora, una cosa fondamentale: "mio nonno ha costruito il primo televisore di Praga, usando come schermo un enorme acquario, da cui veniva fuori un'immagine ingrandita e deformata dall'acqua del quadro televisivo…". Ma sostanzialmente, le prime due parole che pronuncia, appena si siede alla tavolata imbandita per la stampa, sono "mio padre…". La domanda era:

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C'è una differenza abbastanza evidente tra i film sceneggiati, in maniera quantomai classica, da suo padre Zdenek, e quelli che partono da soggetti originali di Jan, come il folle Akumulator 1. Nel suo nuovo film, Vuoti a rendere, uscito in patria una settimana fa, e di cui qui a Bergamo abbiamo potuto vedere soltanto il trailer, per la prima volta una sceneggiatura di Sverak senior affronta una storia contemporanea. In quale dei due filoni della filmografia di Jan Sverak si pone allora l'opera?


 


Mio padre (…visto? ndr) è uno sceneggiatore da parecchi anni ormai. I suoi script sono talmente raffinati, sfaccettati e 'compiuti' in se stessi, che non posso che accettarli, quando me li propone, e trasporli in immagini in quello che penso sia il miglior modo possibile [in realtà Jan ha 'costretto' il padre a numerose riscritture e di Dark Blue World, e di Vuoti a rendere, copione che in un primo tempo aveva rifiutato in toto – ndr]. Quando lavoro su storie che invece ho partorito con la mia mente, è innegabile però che io mi senta molto più libero.

Tornando a Vuoti a rendere, che qui in Italia probabilmente vedrete grazie a Domenico Procacci, nella prima settimana di programmazione il film ha avuto il maggiore incasso degli ultimi 15 anni in Repubblica Ceca. E', in tutto e per tutto, un'opera del filone "dalla luce dorata", come Bruno Fornara definisce alcuni miei film. A conti fatti, è l'ultimo tassello di una trilogia che riguarda la vita di mio padre Zdenek. Scuola elementare raccontava la sua infanzia, Kolja la sua vita da adulto sotto il regime socialista, Vuoti a rendere la sua anzianità e il suo fare i conti con l'idea della sua morte. Credo molto nell'importanza del raccontare i momenti di passaggio, che sono i più difficili ma anche i più belli. Per rubare una metafora secondo me straordinaria a Hrabal, queste fasi della vita sono come un'asse di legno che si spezza in due: saltano via delle schegge quando il legno si rompe, che possono conficcarsi nella pelle e restarci, causandoci dolore per molto tempo.


 


Dunque lei è convinto fermamente dell'importanza della memoria all'interno dell'opera d'arte e della vita degli esseri umani…


 


Da artigiano, e soprattutto da artigiano ingenuo, credo che questa domanda ognuno di voi debba porla a sé stesso, tentando di rispondersi ognuno per sé.


 


Akumulator potrebbe tranquillamente avere un sequel girato negli USA, e Dark Blue World è prodotto dalla Miramax e in un primo tempo doveva essere girato con gli attori che recitavano in inglese. Kolja è piaciuto all'Accademy. Qual è dunque il rapporto di Jan Sverak con Hollywood? Com'è che Sunset Boulevard non l'ha ancora conquistata, come ha fatto con il connazionale Milos Forman?


 


Anche se di solito scelgo di andare al cinema a vedere un film americano buono, piuttosto che un film europeo così così, preferirei non lavorare più in America tranne se gli Studios non accettino di produrmi un film da girare nella mia Terra. Odio lavorare da loro, perchè tutti i soldi che spendi poi non si vedono nell'opera finita, sullo schermo, nell'immagine. Finiscono sempre ai lati. E poi continuano ad avere metodi di lavoro alquanto ottusi. Per Dark Blue World portai ad un incontro coi produttori un cd-rom con le fotografie digitali di scena. Inorriditi, dissero di non poterlo accettare, né consultare: avevano necessariamente bisogno della versione stampata su carta fotografica delle stesse immagini, sviluppate dal negativo del rullino. Giusto un po' antiquato, vero?


 


 


 

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