L'istrionismo di un Rex Harrison aspirante ballerino e una Maggie Smith in stato di grazia hanno aperto la quarta giornata del Bergamo Film Meeting con la proiezione di Masquerade (The Honey Pot) di Joseph L. Mankiewicz, altro classico del “Falso” ispirato al Volpone di Ben Jonson che, nonostante sia datato 1967, risulta ancora estremamente attuale e fresco. Proseguono anche le retrospettive, tra un Alec Guinness capitano bigamo in The Captain's Paradise e spia in La Talpa e la ricostruzione di cinquantanni di storia familiare strettamente legata a Marsiglia in Rouge midi di Robert Guédiguian.

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La serata, invece, si è aperta con la presentazione del progetto CILECT, che riunisce le più importanti scuole di cinema del mondo e che qui al Festival ha portato i tredici corti migliori, selezionati da una giuria composta da professori e studenti. A precedere il film in concorso, Forcine, corto di animazione/stop motion realizzato da Ramona Mismetti, uscita dalla Scuola di Cinema e Televisione di Milano. Cinque minuti che seguono la “vita” di una forcina giù per il tubo, tra esotici incontri con calzini colorati e tutta una flora e fauna che abita le tubature di una normale abitazione.
Legato al CILECT anche Filip Marcewski, figlio del regista a cui il BFM ha dedicato una personale anni fa, che con il corto Melodrama si è posizionato terzo nella competizione del 2006. Shameless, suo primo lungometraggio, narra la storia incestuosa tra due fratellastri, una passione a lungo negata, tenuta nascosta, che rischia di fagocitare l'esistenza di chi vi è coinvolto tra vergogna e senso di colpa da una parte e gioia e liberazione dall'altra. Una relazione che Marcewski ritrae senza lasciare nulla all'immaginazione, quasi con bruto realismo, infrangendo tabù, ma al tempo stesso cogliendo i sentimenti dei due protagonisti, in particolare del giovane Tadzik, divorato dal desiderio per la sorella, che esprime attraverso gesti impulsivi e violenti, misti a tenerezza e preoccupazione. Tuttavia, più che la relazione incestuosa, risulta interessante il ritratto della Polonia d'oggi che il regista dipinge, in particolare di quei gruppi lasciati a margine come la comunità di nomadi di cui fa parte Irmina, la ragazza con cui Tadzik trascorre il suo tempo, e il manipolo di facinorosi neo-nazisti, capeggiati dal fidanzato di Anka. Due facce di un paese che sta tentando di rinascere dalle proprie ceneri, che tenta di liberarsi dal suo passato, ma che, inevitabilmente, sembra ancora subirne le conseguenze. Uno scontro tra opposte fazioni che si risolve con una violenza ben più preoccupante della passione amorosa tra fratelli e che Mancewski coglie perfettamente nel destino di Irmina, i cui sogni vengono definitivamente schiacciati. Un futuro negato che sta tutto in quell'ultima immagine di lei che cammina nel suo bianco vestito da sposa, simbolo ultimo di emarginazione.

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