BERGAMO FILM MEETING – Amore e rabbia per un cinema ritrovato e in espansione

Giunto alla ventiduesima edizione il festival (dal 13 al 21 marzo) si rivela, ancora una volta, un'inesauribile fonte di ricerca di sguardi e "frame" riconsegnati al mercato dell'immagine corrotta. Oltre al concorso, quest'anno, quattro sono le retrospettive che s'intersecano arditamente sul tracciato apollineo/dionisiaco nicciano.

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Si passa da un'entrata laterale dell'Auditorium ed un piccolo schermo proietta ininterrottamente scampoli visivi di magmatica corposità. A pochi chilometri dal colosso urbano, Bergamo è un'isola vulcanica che rigurgita incandescenze del passato e contemporaneità scomode e di scarto. Ritrovamenti, restauri, aggiunte, segnano il gusto della scoperta polisemica che sovrappone autori "ossessionati" dall'ebbrezza dell'arte visionaria. Cosa hanno in comune John Ford, Lindsay Anderson, Guy Maddin, Andrej Tarkovskij, se non un senso della temporalità stratificata: temporalità diverse per ogni inquadratura. È il passare della vita sopra l'arte, attraverso l'arte; o il movimento essenziale di uscita dell'arte da se stessa, verso la vita e il suo costante rientro in se stessa. Figure cinematografiche in contraddizione nel loro essere soggetti estetici: un essere nel tempo e fuori di esso, un essere dentro l'esperienza e contemporaneamente riflettere su di essa esteriormente.  Il crepuscolare e apollineo John Ford (nove film in programma, spariti dal grande schermo), scandaglia dall'interno, con sapere storico/temporale, le condizioni di possibilità della conoscenza universale. Il maestro della statuarietà del divenire, Andrej Tarkowskij (per la prima volta in Italia, i sei film sovietici ristampati sui negativi originali del Mosfilm di Mosca, grazie alla Regione Lombardia e al Lab 80), scandisce il lento respiro delle cose, degli oggetti, scavando nella propria cultura alla ricerca di zone nascoste e apparenze fragili innervate in radici lontane. La polemica tarkovskijana (apollinea/dionisiaca) è gravida di riferimenti attuali: la metafora dei lunghi silenzi, intrisa d'infelicità e solitudine, non è semplice alienazione mercificata, ma acquista una dimensione drammatica umana e razionale non meno inquietante e profonda.

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L'immagine di una realtà in un'altra, cioè sempre in traduzione, e in visionaria trasfigurazione, quell'anima del festival che comunica con le deviazioni schizofreniche del pensiero logico, ha trovato in Guy Maddin un degno rappresentante. Sette lungometraggi e sei cortometraggi dell'autore canadese, presente anche a "Venezia 2003" nella sezione "Nuovi Territori". Mescolatore iperrealista d'incanti e suggestioni classicheggianti, persegue con atmosfere deliranti, la complementarietà indispensabile tra lo storpio e il cieco di una favola marcescente.

Vecchia conoscenza del festival, Lindsay Anderson, a cui la città di Bergamo aveva dedicato una personale qualche anno fa. Il "Free Cinema" è il suo universo fatto di ambientazioni e mezzi modesti. Ventiquattro opere, richieste di dignità e principi per chi è travolto dalla ferocia apocalittica e senza scampo. Il "sopravvissuto" non ha mai smesso di fare il cinema che ama e testimonianza più chiara e illuminante è senza dubbio il suo libro About John Ford. Apollineo perchè è umanamente coinvolto dai fiorai inglesi del Covent Garden, dionisiaco perchè da fuoco, insieme agli studenti in rivolta, il college di If…, simbolo di un Paese ideologicamente e politicamente castrato.


Altre chicche: il bellissimo Bu San – Good Bye, Dragon Inn, di Tsai Ming-Liang (presentato a Venezia), il ritrovato Scano Boa – Violenza sul fiume, di Renato Dall'Ara, classico del 1961, postneorelaista e naturalista film girato sul fiume Po. In più, due eventi a sorpresa: la presentazione di una copia più lunga di qualche minuto di Le journal d'un curé de campagne (Robert Bresson) e Michaël di Dreyer.


Il concorso vede in gara per la conquista delle "Rose Camune", sette lungometraggi. Da segnalare almeno due titoli: l'italiano La spettatrice, di Paolo Franchi (esordio) e il tedesco Il mio primo miracolo, di Anne Wild, vincitore del premio Max Ophuls in Germania.


Infine, l'eterna nota dolente: i finanziamenti al festival decrescono anno dopo anno e l'andamento è inversamente proporzionale alla risposta tributata da pubblico e critica. Allora, sempre più dionisiacamente sospesi sulla corda dell'incertezza…

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