#Berlinale2016 – Fuocoammare, incontro con Gianfranco Rosi

Il regista ha parlato stamattina del suo ultimo documentario ambientato a Lampedusa, che segue le vicende del dodicenne Samuele

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Dopo l’accoglienza ricevuta questa mattina alla proiezione stampa del suo ultimo documentario Fuocoammare, unico lungometraggio italiano in concorso, il regista di Sacro GRA Gianfranco Rosi ha raccontato insieme ad uno dei protagonisti, il dottor Bartolo, un anno e mezzo passato a Lampedusa, tra sbarchi di migranti e riprese di vita quotidiana del piccolo Samuele, altro protagonista del film.

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“L’idea iniziale era quella di girare un piccolo film su Lampedusa, ed i primi sopralluoghi che ho fatto sull’isola erano improntati su questo progetto, ma gradualmente mi sono reso conto che era impossibile descrivere in un film di finzione una realtà così complessa, ed ho pensato al documentario” esordisce Rosi. Per poi proseguire: “Vorrei ringraziare i miei produttori per la fiducia e la pazienza che mi hanno dimostrato, perchè mi hanno permesso di passare tantissimo tempo nel luogo (un anno e mezzo). Quando inizio a riprendere voglio sapere il meno possibile della realtà in cui mi immergo, che voglio conoscere gradualmente. Per questo sono grato ai produttori; non è facile investire a scatola chiusa in un progetto che inizialmente non aveva forma. Il mio primo contatto sull’isola è stato Giuseppe, un lampedusano che mi ha introdotto al luogo. Poi mi sono preso una bronchite, e così ho conosciuto il dottor Bartolo. Parlando con lui del documentario gli ho espresso i miei dubbi, e lui mi ha detto: quando guarderai le immagini che ho nel mio computer ti convincerai. E così è stato. Le fotografie dei migranti nei barconi sono le stesse che ho inserito nell’ultima scena che ho girato e fanno parte del film che avete visto oggi”.

Di fronte alla domanda che sottolineava la mancanza di “dichiarazioni politiche” nel documentario, Rosi ha definito Fuocoammare un “film politico a prescindere, perchè è la testimonianza di una tragedia che sta avvenendo di fronte ai nostri occhi, e che si avvicina alle proporzioni di un Olocausto. Ma mentre l’Olocausto è emerso dopo, in questo caso siamo bombardati dalle immagini di persone che muoiono a poche miglia dalle nostre coste. Ne siamo perfettamente consapevoli, e questo ci rende conniventi”. 

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Parla anche il dottor Bartoli, che fin dai primi sbarchi all’inizio degli anni ’90 offre primo soccorso ai migranti: “A Lampedusa sono arrivati tanti bambini morti, tante donne violentate. Sono cose che ti lasciano un buco nello stomaco. Io ho spesso degli incubi…Negli anni sono arrivati giornalisti da tutto il mondo e sono stato intervistato da tutte le televisioni possibili, ogni volta vorrei non parlare ma poi accetto, perchè spero che si possa fare qualcosa per sensibilizzare”. “Ho dedicato la mia vita a questo fenomeno”, prosegue il dottore, che ricorda la tragedia del 3 ottobre, avvenuta a duecento metri dalla costa di Lampedusa, quando un barcone si è rovesciato facendo cadere a mare 560 persone, di cui 368 sono morte: “La prima barca ad essere accorsa in salvataggio era un peschereccio di Lampedusa. Io sono riuscito a salvare un donna in fin di vita, dopo di che ho visto solo cadaveri. Ho dovuto fare le ispezioni dei morti e il primo che mi è toccato era un bambino”.

In un mondo a parte vive Samuele, il dodicenne protagonista del documentario. Di fronte alla domanda su come l’abbia scelto, Rosi risponde: “Ho conosciuto Samuele grazie al dottor Bartolo. Volevo raccontare l’isola dallo sguardo di un bambino. Quando l’ho visto per la prima volta ha lanciato un sasso con la sua fionda, poi si è girato verso di me e mi ha detto: ci vuole passione! A quel punto ho capito che doveva essere lui il mio protagonista. Lo stato d’animo di Samuele nel documentario per me ha qualcosa di metaforico”, prosegue Rosi, “guarda a un fenomeno che ancora non è in grado di decifrare. Anche il suo occhio pigro può essere visto come una metafora della nostra politica contemporanea”.

Di fronte ai complimenti sulla bellezza e la potenza delle immagini, Rosi spiega che “La condizione della luce per me è essenziale. Devo dire che non amo troppo la luce forte. Il momento perfetto è quando il cielo è nuvoloso, o quando è buio. Sono stato fortunato ad avere gli strumenti adatti per girare di notte, spesso con la luce di un’unica torcia ad illuminare l’oscurità. Per questo mio amore per le nuvole, mi hanno detto che nelle mie riprese Lampedusa sembrava l’Irlanda”.

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