BERLINALE 59 – "The Countess", di Julie Delpy (Panorama)

Si tratta di un’occasione sprecata, di una mancata contaminazione tra film in costume e horror. Giunta al suo secondo film, la Delpy pensa soltanto a specchiarsi nell’obiettivo della macchina da presa mettendo in ombra anche attori come William Hurt e Anamaria Marinca. Un ‘cinéma de papa’ fuori tempo massimo senza la sua ridondanza letteraria e con in più una pesantezza che lo fa continuamente cigolare

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The Countess appare un’occasione sprecata. Sulla carta infatti ci poteva essere una contaminazione tra le forme del film in costume e l’horror. Il personaggio della contessa Erzebet Bathory (realmente vissuta, nata nel 1560 e morta nel 1614, che ha ispirato nel 19° secolo numerose opere letterarie) gli forniva infatti tutti gli elementi necessari. La donna, vedova, conosce a una festa Istvan, un ragazzo molto più giovane di lei e i due s’innamorano perdutamente. Il conte Thurzo, padre di Ivan (interpretato da William Hurt) però ostacola la relazione imponendo al figlio di non avere più contatti con lei. A questo punto la donna, disperata e ossessionata dall’idea di invecchiare, si convince che per conservare l’eterna giovinezza deve utilizzare il sangue delle ragazze vergini. Alla fine ne ha uccise circa 150. La Delpy, al suo secondo film come regista dopo 2 giorni a Parigi e qui anche protagonista nel ruolo della contessa, disperde la parte relativa agli intrighi di corte per concentrarsi esclusivamente a filmare il proprio corpo che si riflette spesso negli specchi e nell’obiettivo della macchina da presa. La dimensione demoniaca del suo personaggio è anestetizzata proprio perché il suo narcisismo è tale da anteporre prima lei stessa al suo personaggio, mettendo anche in ombra attori come William Hurt o figure secondarie di spessore come il personaggio di Darvulia interpretata dalla brava Anamaria Marinca che qui a Berlino si è già vista in Storm. Ci sono dettagli sul volto, sugli occhi, sulle mani che invecchiano inquadrate anche con un compiaciuto e raggelato formalismo che fanno sembrare la sua figura più eterea che carnale. Le scene della cattura e dell’omicidio delle ragazze sono invece come dei flash provvisori, elementi narrativi essenziali per far rimbalzare la macchina da presa da quel momento ancora attorno al corpo della Delpy. Solo un unico lampo, quasi animalesco: la contessa che guarda la sua bambina cresciuta come a una possibile preda. Per il resto The Countess appare l’esempio fuori tempo di quello che Truffaut chiamava ‘cinéma de papa’, con in più senza avere quella ridondanza letteraria che caratterizzava quelle opere. Ha solo una pesantezza che lo fa continuamente cigolare; difficilmente si è vista una scena come quella del ballo tra la contessa e Istvan così macchinosa. Forse bisognerebbe vedere e rivedere quella di La duchessa di Langeais di Rivette per ritrovare quella leggerezza assoluta che invece questo film non possiede neanche quando mostra gli slanci sentimentali della protagonista.  

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    Un commento

    • Più che un commento, una domanda rivolta a tutti: è un film che vedremo in Italia? Perché, francamente, non ne sento parlare.