BERLINALE 61- "Amadores", di Fernando Léon de Aranoa (Panorama)
Film pieno di suggestioni, magari non pienamente controllato, molto riuscito nella parte iniziale con la spontanea intimità tra i due protagonisti, più costruito nei giochi di voyeurismo e nella messinscena soggettiva. Il regista spagnolo sa però bilanciare dramma e commedia, superando il rischio di un pericoloso cinismo nel momento in cui la beffa diventa gioco condiviso
Amador parla di nascita e di morte. Entrambe indesiderate agli occhi di Marcela interpretata da Magali Solier che era stata protagonista del film che aveva vinto alla Berlinale due anni fa, Il canto di Paloma di Claudia Llosa. Il cineasta riesce a mostrare efficacemente il suo continuo senso di disagio. Cammina con la paura addosso, si nasconde di fronte le responsabilità, cerca di prolungare il suo allontanamento dalla realtà il più a lungo possibile anche se alla fine sa di doverci fare i conti. La parola scritta, il puzzle servono per comunicare quello che non si riesce a dire. Eppure a tratti bastano gli sguardi, non le parole, come tutta la riuscitissima prima parte con l'intimità che s'instaura tra la ragazza e l'uomo anziano. Poi ad un certo punto entrano in gioco una nuova appartenenza. L'abitazione dell'uomo deceduto diventa come un suo territorio, circondato dai fiori, il ventilatore, e la gestualità spontanea con cui apre la porta dell'abitazione. Qualche sbavatura nel rapporto con la prostituta, bel personaggio che avrebbe dovuto essere maggiormente approfondito, e il voyerismo dalle finestre, che potevano far nascere risvolti nascosti che invece restano così interrotti. De Aranoa però sa bilanciare dramma e commedia, superando il rischio di un pericoloso cinismo nel momento in cui la beffa diventa gioco condiviso. Senza togliere nulla alla sincera adesione verso il personaggio deceduto che però continua a vivere nel film fino alla fine.