BERLINALE 61 – La crisi finanziaria statunitense e la memoria argentina
Presentati in concorso due esordi nel lungometraggio. Lo statunitense Margin Call è un thriller basato sulla grave crisi finanziaria del 2008 dove la parola non riesce quasi mai ad innescare il motore della tensione, mentre El premio appare troppo sovraccarico di simbolismi che finiscono per attenuare le paure infantili messe in scena dal film
Dopo l'apertura con Il Grinta dei fratelli Coen, al via ufficialmente la competizione della 61° Berlinale con lo statunitense Margin Call di JC Chandor e El premio dell'argentina Paula Markovitch. Si tratta complessivamente di una partenza un po' in sordina, di occasioni non sfruttate al meglio anche se per motivi diversi.
La struttura di Margin Call farebbe inizialmente pensare all'adattamento di una pièce teatrale di Broadway sulla grave crisi finanziaria del 2008. La struttura in interni, la crescente claustrofobia, l'utilizzo del dialogo che tende quasi a riempire ogni spazio libero, appare simile infatti ad Americani, il film che James Foley realizzò nel 1992 adattando un testo teatrale di David Mamet. Margin Call, oltre ad essere un soggetto originale (la cui sceneggiatura è scritta dallo stesso regista), è invece concepito come un thriller ed è ambientato negli uffici di una grande banca d'investimenti nelle 24 ore che precedono l'annuncio di fallimento. Qui un giovane analista scopre che le valutazioni su cui si basa la struttura commerciale dell'azienda sono sbagliate e che l'hanno spinta alla rovina. Nel corso della notte questa notizia si sparge tra le personalità più importanti della banca che hanno convocato una riunione nella notte per cercare una via di salvezza. Chandor, che ha alle spalle dei documentari per la tv e spot pubblicitari, arriva a realizzare il suo primo lungometraggio con un cast di prim'ordine che vede tra i protagonisti Kevin Spacey, Jeremy Irons, Paul Bettany, Zachary Quinto, Stanley Tucci, Demi Moore e Simon Baker. Paradossalmente un film del genere poteva essere adatto per un'ottima serie-tv vista anche la densità narrativa che il cineasta riesce raramente a padroneggiare, preoccupato di saltare qualche passaggio ma al tempo stesso senza avere quella capacità di filmare la parola per fargli acquistare quello spessore decisivo e farlo diventare principale motore della tensione. Le vetrate degli edifici, i grattacieli di New York potrebbero creare quella sensazione di isolamento, ma i salti nel vuoto sono intermittenti, le performances degli attori (particolarmente su di giri Jeremy Irons) a tratti separate dal contesto e alcune soluzioni visive molto discutibili come il dialogo tra Simon Baker e Demi Moore in ascensore con la donna delle pulizie in mezzo. Americani è un modello da seguire ma anche senza riferirsi a quel film, Margin Call ha promesso di più di quello che ha realmente mantenuto.