BERLINALE 61 – "Unknown", di Jaume Collet-Serra (Fuori concorso)

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Dal romanzo di Didier Van Cauwelaert, il film lascia precipitare sin da subito in un incubo con una Berlino innevata che sembra replicare la Parigi di Frantic di Polanski. Dopo La maschera di cera e Orphan, ritorna dagli horror la figura del doppio inserita in un thriller che ha la materia della realtà ma la dimensione del sogno, dal ritmo vertiginoso tra inseguimenti, incidenti ed esplosioni.  E Liam Neeson funziona alla grande

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unknownIl thriller come luogo di oscure apparizioni. Come negli horror La maschera di cera ed Orphan, il cinema Jaume Collet-Serra è ancora sul doppio: i due fratelli che hanno trasformato la loro casa in un'attrazione nel primo film, la bambina orfana adottata da una famiglia dopo la perdita di un figlio che la madre aveva in grembo nel secondo. In Unknown, tratto dal romanzo di Didier Van Cauwelaert, il dottor Martin Harris (Liam Neeson) arriva a Berlino per un congresso di biotecnologia. E' però vittima di un incidente d'auto col taxi che lo stava riportando all'aeroporto di Tegel per recuperare una valigia smarrita. Cade in coma e quando si risveglia, nessuno lo riconosce, neanche la moglie. A questo punto lui, con l'aiuto di Gina (Diane Kruger) la donna che guidava il taxi e gli ha salvato la vita quando il veicolo è caduto nel fiume, e di un ex-agente della Stasi (Bruno Ganz), fa di tutto per recuperare la propria identità. Ma qualcuno sta cercando di farlo fuori. Lascia precipitare sin da subito in un incubo Unknown. Senza preavviso: lo stesso Neeson cerca di recuperare la memoria più attraverso i volti che i ricordi visivi (gli in/definiti frammenti flashback), ma anche con accesi sguardi alla continua ricerca di ciò che è perduto. Ha la materia della realtà ma le dimensioni del sogno Unknown e Collet-Serra conferma la sua enorme capacità di far entrare in labirinti in cui non si vede la via d'uscita, dove ogni rumore di passo, ogni ralenti in mezzo alla strada può diventare elemento letale, mentre il passato si può cancellare del tutto anche con fotografie che mettono in dubbio il vissuto attraverso una manipolazione già preorganizzata. C'è un momento potentissimo, quasi cronenberghiano nel film ed è quello in cui i due Martin Harris dicono le stesse cose al responsabile tedesco del laboratorio, quasi dei demoni posseduti che ritornano da Orphan. Al tempo stesso però il film è anche un thriller esemplare, dove una Berlino innevata sembra replicare la Parigi di Frantic di Polanski, set sotterraneo ma anche esplosivo con un ritmo vertigionoso tra inseguimenti, incidenti ed esplosioni. Peccato che la parte finale dia l'impressione di essere un po' trascinata. Ma Jaume Collet-Serra si conferma ancora di più cineasta in ascesa, Liam Neeson funziona alla grande ma anche Diane Kruger gli regge bene il gioco.

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