BERLINALE 62 – "La tragicommedia è l'unica via per raccontare la crisi". Incontro con Alex de la Iglesia e Salma Hayek


A Berlino per presentare La chispa de la vida Alex de la Iglesia insieme agli interpreti Salma Hayek, Carolina Herrera Bang e José Mota. Arrivati in notevole ritardo a causa di una manifestazione che ha bloccato le strade berlinesi, de la Iglesia e i suoi si sono intrattenuti con i giornalisti parlando di crisi e tragicommedia greco-spagnola

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La prima domanda è per Alex: perché Salma, perché una messicana? E Salma com’è stato lavorare con Alex?

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de la Iglesia:  Prima di tutto voglio ringraziarvi tutti e dirvi che sono felicissimo di essere a Berlino. Per me è un onore essere qui. Quando fai un film ambizioso, e credo che il mio lo sia molto,  la prima cosa è essere sicuri di avere i migliori attori. Era un sogno lavorare con Salma, e ora è diventato realtà. In Spagna, dove è ambientato, ho pensato che servisse un personaggio personaggio outsider, che non sa cosa sta accadendo con tutti gli avvoltoi e i manipolatori che si trova intorno, e Salma è una perfetta outsider.

Salma Hayek: Lavorare con Alex è un' esperienza meravigliosa, tutti gli attori hanno il sogno di lavorare con un regista che migliora il personaggio per com'è  nella sceneggiatura. Quando giravamo ti guidava in una direzione a cui non saresti arrivato da solo, ti lascia vedere come le persone sono imprevedibili, che è la cosa interessante nei film, lui lavora sull’imprevedibile…

de la Iglesia: Ma è Salma che lavora così, lei è fantastica, lei collabora con regista con idee fantastiche, quello che può succedere è che sei troppo orgoglioso e dici "ma questa donna levatemela di torno, perché sta cambiando il mio film"…ma sono così egoista e concentrato sulla voglia di fare bene il mio lavoro che sono andato oltre il mio orgoglio e ho seguito i suoi consigli. Anche se spesso le ho detto: " questo è il mio film, non il tuo!" . Abbiamo litigato e abbiamo dialogato allo stesso tempo. Ma tutti gli attori sono stati grandi.

Prima di tutto volevo dirle che il suo è un film meraviglioso, per me il migliore del festival…

d.l.I. : O mio dio, grazie, grazie mille…vieni sempre alle mie conferenze…è il genere di cose che tutti noi vorremmo sentirci dire alle conferenze…( ride).

…la domanda è perché era importante per lei fare questo film?

d.l.I.: Perché lo script non era mio, l'ho letto e ho  pensato che era fantastico e dovevo farlo. E' una sorta di tragicommedia greca che viene dall’adattamento spagnola, commedia e tragedia sono il senso della vita per me, la vita non ha senso se non ci puoi ridere su, ma non puoi nemmeno far finta che la realtà non esista, la vita è piena di tragedie. Il punto è proprio questo: la crisi, se ne parla sempre, tutti sappiamo che c'è. E' inutile non guardare la realtà, perché esiste, ogni giorno, in Spagna come in molti altri Paesi del mondo, ci sono migliaia di persone che perdono il lavoro, come Roberto. E le agenzie di rating che ti dicono, così, all'improvviso, che la tua vita da domani non esiste più. La tragicommedia è l'unico modo per raccontare quello che sta accadendo, l'unico modo per cercare di reagire.

José, nei paesi del Sud America e in Spagna sei molto popolare come attore comico. Come sei passato alla tragedia e qual è stata la sfida più grande nel film?

José Mota:  La sfida maggiore per me è stata fare Roberto senza il linguaggio del corpo, stare nel letto per tre mesi, a temperatiure molto basse, non potevo muovermi ed era terribile. In Spagna faceva davvero molto freddo c'era una temperatura di -1 come media che forse per voi qui in Germania è una temperatura mite, ma vi assicuro che per noi in Spagna non è così…io ho chiesto a Alex "per favore non spegnere il riscaldamento" ma lui niente, ( Ridono). Quindi sì, la sfida più grande è stata quella fisica. ( Ride di nuovo.). Ma anche il fatto di lavorare con attori come Salma e gli altri colleghi, tutti bravissimi, anche quella è stata una grande sfida per me, un'occasione. Sono passato alla tragedia, se vogliamo chiamarla così, perché per me era arrivato il momento di farlo. A un certo punto, era un periodo particolare della mia vita, ho sentito che era il caso di affrontare un ruolo del genere. Ho sempre creduto in questo progetto, sin dall'inizio. Perché stavolta si trattava di portare le persone in un flusso emotivo e coinvolgente, che non è come farle ridere, stavolta ha a che fare con la realtà che non si può ignorare. Per me è stato una terapia.

Salma, qual è stata per te la cosa più difficile?

S.H.: E' un film che attraversa tutti i generi allo stesso tempo: commedia, commedia estrema, tragedia…dovevo cercare di capire qual era il mio posto in questa sorta di circo, e non è stato facile, perché c'era il rischio che mi facessi trascinare. Direi che questa è stata la cosa più difficile, cercare di capire qual era il mio posto.

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