BERLINALE 62 – "Trovare un equilibrio tra complessità e sensibilità". Incontro con Angelina Jolie

angelina jolie sul set
In un incontro gremito, Angelina Jolie si presenta col suo numeroso cast. Ferma e decisa nelle risposte, parla di un progetto che ha sentito da vicino, il suo 1° film da regista In the Land of Blood and Honey; dei film di guerra; di quello che è lecito mostrare in un'opera appartenente a questo genere; del rapporto con gli attori e del fatto che questo lavoro l'ha cambiata e dopo forse il suo percorso artistico non potrà più essere lo stesso.

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angelina jolie sul setLa sala conferenze già 20 minuti prima è stracolma. Porte che si aprono e si chiudono. Dentro o fuori. Di Angelina Jolie, vestita di nero, accompagnata dal cast numeroso del suo film In the Land of Blood and Honey, si vede soltanto qualche squarcio dai monitor-tv lì vicino. "Angelina, Angelina" urlano i fotografi al photocall. Lei si concede con quel sorriso, chissà, sfoggiato tante altre volte. Più che altro è lei che fa da guida e cerca di rassicurare i suoi attori dove, alcuni di loro, appaiono particolarmente emozionati. All'incontro tira subito fuori gli artigli dopo una domanda che, evidentemente, non le è garbata granché: "Ognuno interpreta il film a modo suo e lei è liberissimo di farlo. Penso però che molte altre persone che vedranno il mio In the Land of Blood and Honey avranno una visione diversa dalla sua."

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Come si pone lei, star di successo, di fronte a un tema così importante come la Guerra dei Balcani?

Nel corso della mia carriera ho avuto molto successo e ora ho deciso di fare altro. Certamente col mio film faccio quello che posso. Ho viaggiato molto, ho visto conflitti. Così ho cercato di parlare dei problemi della guerra e spero che questo possa arrivare a più gente possibile.

Ci sono dei momenti anche molto forti, come la violenza, l'uccisione di un bambino…

Quando si realizzano dei film di guerra, ci si chiede sempre quello che si può mostrare. Certo, si deve far vedere che il conflitto è veramente orribile. Di solito quando vedo opere appartenenti a questo genere non mi sento mai a mio agio. Per me bisogna cercare di mostrare tutto ciò che è possibile e mostrare il conflitto proprio nella sua brutalità. Facendo però attenzione a come si mostra; per esempio, voi vedete il bambino morto, cioé sapete che è morto ma non vedete il corpo.

Come ci si pone quindi tra rappresentazione oggettiva della verità e ricostruzione?

Viene mostrata la resistenza da parte bosniaca. Ma il mio film ho cercato di farlo vedere non come un documentario ma come un'interpretazione artistica. Spero che in futuro ci possano essere altri film che possano mostrare altri aspetti di questo conflitto.

Cosa ha rappresentato questo film per lei?

La cosa importante era quella di trovare un equilibrio tra complessità e sensibilità. Avevo 17 anni quando questa guerra è cominciata e allora non ne sapevo granché. Poi ho voluto saperne di più e alla fine ho voluto mostrare quello che ho appreso e visto. Ho imparato molte cose su questa parte del mondo con la gente che sopravvive. E qui ci sono degli artisti straordinari

Poi anche come si cambia nel corso della guerra…

Si, negli anni di guerra si cambia e io seguo questo percorso nei personaggi nel corso del conflitto da quando è scoppiato e poi come si è esteso. L'intenzione è stata quella di far vedere le buone e le cattive ragioni e non fare un atto di accusa alla comunità internazionale. Mi ha lasciato il segno il rapporto con questi attori; sono straordinari e sono diversi da quelli statunitensi. Il rapporto con loro mi ha arricchito

Fare un film di questo genere potrà influenzare anche le sue scelte future?

Non faccio film da due anni (il suo ultimo film è infatti The Tourist) e il mio prossimo lavoro è un progetto Disney (ride). Di tutti i lavori che ho fatto, questo è quello che è più vicino a me e ora sarà difficile fare altre cose dopo.

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