BERLINALE 63 – "Elle s'en va", di Emmanuelle Bercot (Concorso)
Più di un film con l'attrice, forse un pedinamento sul suo corpo in un road-movie così francese nel ritmo dell'attraversamento dei paesaggi ma anche così statunitense nell'immagine di 'una donna tutta sola' alla ricerca di quello che ha perso nel corso del tempo. Qualche lacuna nelle caratterizzazioni più deboli, ma c'è un'intensità crescente con un felice equilibrio tra dramma e commedia dalle parti di Quasi amici
Forse qualcosa di più di un film con Catherine Deneuve. Quasi un riflesso sul passato dell'attrice che combatte e convive con la sua immagine da giovane, quando il suo personaggio era Miss Bretagna e tra le candidate per Miss France. Ma insieme quasi una fuga da quell'icona sulla quale poi ci si ritrova imprigionata in quel raduno tra le candidate di un tempo, con i flash delle fotografie che riaprono quelle ferite della propria memoria.
Forse Elle s'en va di Emmanuelle Bercot, che chiude il concorso della 63° Berlinale, è proprio il film che costringe l'attrice a guardarsi indietro e mette a nudo la sua figura anche nei tratti più sgradevoli. E quella fuga in auto, in un road-movie così francese nel ritmo dell'attraversamento dei paesaggi ma anche così statunitense nell'immagine di 'una donna tutta sola' alla ricerca di quello che ha perso nel corso del tempo, può apparire come l'esigenza di chiudere con quella visione che ha accompagnato i suoi ruoli più maturi dove però si nascondeva sempre quella giovanile degli anni '60 dandogli un taglio netto.
E' un bel ruolo quello che Emmanuelle Bercot le cuce addosso, magari quello che molte attrici statunitensi più o meno coetanee pagherebbero per averlo. Regista di un episodio di Gli infedeli e di Student Services, cosceneggiatrice di Polisse, la Bercot si attacca al suo corpo standole spesso con la macchina da presa addosso, cattura piccoli choc (la litigata della coppia nel locale, il nipote che sparisce, il confronto con la figlia) con un'intensità tale che passa sopra le lacune di alcune caratterizzazioni più deboli, soprattutto dei personaggi secondari. Ma nel tratteggiare la condizione di Bettie, una ristoratrice bretone vedova che decide all'improvviso di partire senza una meta precisa dopo che il suo amante ha deciso di sposare una donna molto più giovane di lei, ha un tocco leggero e sensibile, con tracce del Cassavetes di Gloria nel rapporto col nipote e con quel felice equilibrio tra dramma e ironia di Quasi amici, evidente nel racconto delle circostanze in cui è morto suo marito e ha conosciuto il suo amante. La dedica finale a Claude Miller non è casuale. La Bercot che è stata sua attrice in La classe de neige ha catturato quelle instabilità passionali delle figure femminili del cineasta, l'ha fatte sue e poi le ha liberate in una parte finale en-plein air dove il respiro del suo cinema si fa più ampio e si sente un profumo inebriante che alla fine fa un po' ubriacare e barcollare.