BERLINALE 63 – "In the Name of (W imie…), di Malgoska Szumowska (Concorso)

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Cambia lo stile, dall'approccio documentaristico di Elles ai nervosi movimenti di macchina di questo film che però sembrano solo una scopiazzatura, fatta anche male, del cinema dei Dardenne. La cineasta polacca da l'idea di voler più stupire che raccontare e molte volte anche quella che non sa dove guardare sprecando momenti che, emotivamente, potevano avere un altro impatto

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in the name ofGuarda verso il cielo il sacerdote mentre sta correndo. Quasi un segno iniziale, una soggettiva di un desiderio che va oltre la quotidianità terrena. Lui, Padre Adam, gestisce una piccola parrocchia e un centro di recupero che ospita ragazzi disadattati. Una ragazza del luogo cerca di sedurlo. La sua attenzione è rivolta in realtà verso un giovane del posto che risveglia in lui una passione e un sentimento che non provava da tempo.

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La regista polacca crea un luogo impermeabile che in qualche modo assedia il protagonista, come avveniva in Il sospetto di Thomas Vinterberg. Con In the Name of affronta di nuovo le derive della sessualità dopo Elles e il modo in cui rappresenta il sacerdote non è dissimile da quello della studentesse costrette a prostituirsi di quel film. Cambia lo stile, dall'approccio semidocumentaristico a movimenti nervosi di macchina, evidenti nel modo in cui vengono inquadrate per esempio, la partita di calcio o spesso gli stessi dialoghi tra i protagonisti, in un ondeggiamento che sembra voler gradualmare mettere a nudo il desiderio nascosto del sacerdote ma che invece finisce per essere solo una brutta scopiazzatura, fatta anche male, dello stile dei Dardenne.

Cambia il metodo rispetto a Elles ma non il risultato. Malgoska Szumowska sembra voler più stupire piuttosto che raccontare. Se dipendesse da lei, mostrerebbe tutte situazioni come quella del protagonista ubriaco che balla con il quadro di Papa Ratzinger, o confessioni choc come quella del ragazzo o la porta mezza aperta dove ci sono due giovani che stanno facendo sesso. In realtà non è quello che mostra ma come lo mostra, con un impeto falso che finisce per appiattire tutto, con l'esigenza di non sacrificare nessun dettaglio della sua storia finendo così per togliere tensione drammaturgica a un momento tra il sacerdote e la ragazza con il primo che esce fuori per andare a sedare una rissa. La Szumowska non rinuncia a nulla nella sua esibizione narrativa, ma che i suoi movimenti di macchina non sono per nulla spontanei lo si vede da lontano e questo la porta a sprecare anche scene che potenzialmente potevano avere tutt'altro impatto come la crisi d'identità del protagonista con la testa nell'acqua della vasca. 

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