BERLINALE 63 – Incontro con Wong Kar-wai e il cast di "The Grandmaster"

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Era atteso da anni. Finalmente è arrivato, seppur tra mille travagli. The Grandmaster di Wong Kar-wai apre questa 63ª Berlinale e lascia di stucco. Molti non hanno apprezzato, ma in ogni caso, è un film che mostra con consapevolezza tutte le proprie cesure, le malinconiche ferite, le tracce dei mille altri film che si porta dentro. La storia di Ip Man, il grande maestro di arti marziali, la precisione del gesto tecnico, il discorso teorico, i buchi neri della narrazione e il mélò lacerante. Il resoconto della conferenza stampa

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wong kar-waiEra atteso da anni. Finalmente è arrivato, seppur tra mille travagli. The Grandmaster di Wong Kar-wai apre questa 63ª Berlinale e lascia di stucco. Molti non hanno apprezzato, ma in ogni caso, è un film che mostra con consapevolezza tutte le proprie cesure, le malinconiche ferite, le tracce dei mille altri film che si porta dentro. La storia di Ip Man, il grande maestro di arti marziali, la precisione del gesto tecnico, il discorso teorico, i buchi neri della narrazione e il mélo lacerante. Wong Kar-wai si è presentato in conferenza stampa in compagnia dei due interpreti protagonisti, Tony Leung Chiu-wai e Zhang Ziyi, e del direttore della fotografia, il francese Philippe La Sourde (Un'ottima annata, Sette anime).

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Come ha lavorato su questa storia, dalla prima idea a oggi?

L'idea di questo film risale ad anni a, potrei dire. Mi ricordo che stavo vedendo un documentario su Ip Man, girato poco prima che morisse. Era una specie di saggio, una dimostrazione al pubblico delle sue tecniche. C'era questa persona anziana, settantenne e già malata. E mi ricordo che mi colpì molto leggere nel suo volto la sofferenza, ma al tempo stesso la voglia di concedersi agli altri. Ip Man è celebre per essere stato il maestro di Bruce Lee, un altro grandissimo personaggio. Ma, a differenza di Bruce, è da considerare un vero gran maestro, proprio per la sua generosità, per la voglia di trasmettere le sue arti alle generazioni successive. Alla fine, il mio, più che un film di kung fu è un film sul kung fu, cioè su delle tecniche, ma soprattutto su un mondo e il suo codice d'onore. E spero che The Grandmaster possa aprire per gli spettatori nuove prospettive sul kung fu, le arti marziali e la Cina.

 

Insomma, qual è stata la sfida che ha voluto affrontare con un film del genere?

Sa, io non ho mai praticato le arti marziali. Ma è un mondo che mi ha affascinato e che ho cercato di scoprire. La sfida è stata questa. Partire da zero. E quello che mi ha più sorpreso è la modestia di questi grandi personaggi, di questi maestri, nonostante, in fondo, si tratti di guerrieri. Sono perfettamente consapevoli di essere "un'arma" e, per questo, sono assolutamente disciplinati. Del resto, la loro è un'arte di difesa e non di attacco.

 

E per gli attori invece? Cosa è cambiato in voi con questo film?

Tony Leung. Anch'io non ho mai praticato le arti marziali. Per quattro anni mi sono dedicato ad apprenderne le tecniche il più possibile. Ma il difficile non è stato imparare a quarantasei anni come cadere in maniera giusta o come saltare. Difficile è stato comprendere a fondo lo spirito di quel mondo. Sì, la sfida più grande è stata quella di interpretare un grandmaster. Ma avevo un personaggio reale a cui ispirarmi e ho cercato il più possibile di seguirne gli insegnamenti. Credo che questo film abbia fatto di me un uomo più disciplinato.

Zhang Ziyi. Non so dire a parole cosa è cambiato in me. O quale sia stata la sfida più grande. Quello che so è che sono l'attrice più fortunata del mondo. Le riprese di questo film sono durate venti mesi in tre anni. Ho dedicato tutto questo tempo a Wong Kar-wai. E se me lo chiedesse nuovamente lo rifarei.

 

Cosa ci può dire, invece, del suo ruolo di presidente di giuria? Del fatto che molti dei film in concorso quest'anno qui a Berlino affrontano il tema della crisi economica? Il cinema si guarda intorno?

Non ho ancora visto i film in concorso. Il nostro lavoro comincia domani. Ma credo, in ogni caso che noi non possiamo che trarre ispirazione dalla vita, da ciò che succede intorno a noi. Non so se si tratti di messaggio o cosa. Ma penso, comunque, che il cinema sia un modo d'espressione. Facciamo qualcosa che vogliamo condividere con gli altri. Per questo abbiamo bisogno di un pubblico.

 

Qual è, secondo lei, l'importanza delle arti marziali in Cina? E perché un personaggio come Ip Man è così determinante?

Penso che molti giovani oggi conoscano Ip Man grazie al suo allievo Bruce Lee, un personaggio planetario, un'icona. Ma in ogni caso la qualità straordinaria di Ip Man è stata la sua capacità di affrontare i grandi eventi della Storia, dall'invasione giapponese alla guerra civile, fino al suo "esilio forzato" a Hong Kong, tenendo sempre fede ai suoi principi. Ed è stato il primo a rendere la sua arte popolare. I suoi grandi insegnamenti, quelli che rimarranno, sono la disciplina, la modestia e, soprattutto, la generosità.

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