BERLINALE 63 – "Promised Land", di Gus Van Sant (Concorso)

Matt Damon Promised Land

Scritto e prodotto da John Krasinski e Matt Damon, tutto il film è una riflessione sull’identità dell’America di oggi. Come anche sulle maschere, sulle piccole grandi menzogne che quotidianamente viviamo. In perfetta sintonia “politica” con le grandi storie americane che quest’anno il cinema USA ha rilanciato, come non accadeva da tempo, con le opere di Robert Redford, Kathryn Bigelow, Steven Spielberg, Quentin Tarantino e Ben Affleck

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Promised Land Gus Van Sant Matt Damon“Non puoi disegnare un personaggio e tagliarlo all’altezza delle ginocchia”

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Juliet Polcsa, costumista di Promised Land

 

Sono gli stivali di Steve Butler, il personaggio interpretato da Matt Damon, l’elemento chiave della storia, scritta a quattro mani proprio da Damon e da John Krasinski. Non potevano, come racconta la costumista, essere stati fatti in Bangladesh, come i primi che aveva indossato l’attore. No, perché il copione pretendeva che quegli stivali, appartenuti al nonno di Steve, fossero stati creati in America. E così la costumista ha cercato dappertutto fino a che non ha trovato dei fantastici Red Wing su Ebay, che Damon ha indossato “letteralmente un istante prima di girare”. 

 

A volte sono i particolari che fanno i film. Più dei registi. Più delle storie. Ma i registi e chi scrive le storie devono essere capaci di cogliere questi particolari, e metterli al servizio delle loro storie.

Promise Land è un film sull’identità dell’America di oggi. In questo in perfetta sintonia “politica” con le grandi storie americane che quest’anno il cinema USA ha rilanciato, come non accadeva da tempo, con le opere di Robert Redford, Kathryn Bigelow, Steven Spielberg, Quentin Tarantino e Ben Affleck.

 

Già, Ben Affleck. Che con Damon e Van Sant costituisce ormai una vera e propria Factory, alla quale si è aggregato questo John Krasinski, attore/scrittore da tener d’occhio (era il “caratterista” sorta di terzo occhio nella commedia “E’ complicato” con Meryll Streep).  L’idea del film è di Krasinski, la propone a Damon che se ne entusiasma e i due cominciano a lavorarci assieme (“Mi ha fatto ripensare a quando scrivevo con Ben Affleck, ho provato una sensazione simile e mi sono divertito moltissimo” racconta Damon). Damon doveva dirigere il film , ma poi impegni su altri set gli han reso impossibile di occuparsi della gestione del film. E qui entra in scena Gus Van Sant.

Che ha questa straordinaria capacità di entrare nelle storie costruite da altri con una sensibilità e personalità tale da arricchire profondamente i progetti senza sottrarlo agli “autori” originali. Un regista empatico, insomma.

 

Promised Land vive attraverso il movimento esteriore ed interiore di Steve Butler, giovane professionista della vendita, che ha radici nelle campagne americane che dovette lasciare per la crisi economica. E in città si è costruito una buona carriera. Con la sua collega Sue (Frances Mac Dormand)  gira le cittadine di provincia, spesso in miseria dopo la grande crisi del 2008, per proporre delle apparentemente lucrose vendite dei terreni, per la compagnia di estrazione del Gas per la quale lavora.  Tutto sembra facile anche nella cittadina rurale di Mc Kinley, ma quando un rispettato insegnante, Frank Yates (Hal Holbrook), gli contesta in pubblica assemblea la pericolosità delle estrazioni, le cose si complicano imprevedibilmente. E peggiorano quando in città arriva un attivista ambientalista, Dustin Noble (John Krasinski), scaltro e affabile che subito conquista i favori degli abitanti del luogo.

 

promised land John KrasinskiTutto il film è una riflessione sull’identità, come anche sulle maschere, sulle piccole grandi menzogne che quotidianamente viviamo. Quando Steve arriva in città la prima cosa che fa è andare in un negozio locale ad acquistare dei vestiti, per sembrare “come uno di loro”.  Peccato che però dimentica l’etichetta e il primo abitante che incontra gli dirà subito che è inutile cercare di sembrare come uno di loro…ma nello stesso tempo ne apprezzerà invece gli stivali, unico indumento che Steve non ha cambiato.

Come stanno cambiando le comunità, strette dalla morsa della crisi e dall’individualismo sociale? C’è ancora spazio per una reale condivisione  dei processi decisionali delle comunità? E quanto è complicato difendersi dalle macchinazioni, dalle “finte storie” (come quella degli ostaggi di Argo..) che a volte le aziende costruiscono per dare credibilità ai loro prodotti?

 

Promised Land racconta di un uomo che, a contatto con una comunità (così simile a quella in cui è nato e che ha dovuto abbandonare), scopre che la sua vita e il suo lavoro sono costruiti, in fondo, su una piccola grande menzogna. E, alla fine, cambierà.

All’interno di un racconto anche molto “tradizionale” (lo straniero che viene da fuori inizialmente in conflitto e che poi si innamora della comunità), tutto il film sembra giocare sui volti, sulle emozioni dei personaggi, sui particolari che ogni singola storia umana racconta. E’ questo umanismo, in un mondo/cinema ormai ipercinico, che lo rende così amabilmente diverso. Questa attenzione ai particolari (gli stivali!) e agli sguardi degli attori. Del resto, come ha detto Matt Damon “15 anni fa, quando ho girato Will Hunting, Gus mi disse “la regia è fatta al 95% dalla scelta del cast”.  E finalmente, forse, si può tornare a fare cinema con i corpi veri…

 

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