BERLINALE 63: "Vic + Flo ont vu un ours", di Denis Coté (Concorso)

vic + flo ont vu un ours

I residui di un'esistenza ai margini su una linea simile di Carcasses ed Elle veut le chaos in un'opera che mantiene quasi per intero la sua coerenza formale per poi negarla nella parte finale, con l'astrazione di una violenza alla Funny Games e soprattutto la rappresentazione di una soglia tra la vita e che non sembra essere nelle corde del regista canadese.

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vic + flo ont vu un oursL'inanimazione prima della morte. Proprio come Carcasses presentato alla Quinzaine di Cannes nel 2009 dove un venditore di carcasse di automobili viveva isolato dal resto del mondo. Ed è lo stesso destino delle due protagoniste di quest'ultimo lavoro del canadese Denis Coté. Victoria e Florence, per anni compagne di cella in carcere, si ritrovano e vanno a vivere insieme. La prima è in libertà condizionata e un agente è incaricato di sorvegliarle studiando i comportamenti. Dalle macerie del metallo di quel film al come il trolley dell'inizio o la sedia a rotelle, c'è ancora un'interazione tra i corpi e gli oggetti e anche le due donne sono i residui di un'altra esistenza ai margini, simili alla donna psicologicamente instabile di Elle veut le chaos con cui il regista aveva vinto il premio per la miglior regia al Festival di Locarno del 2008.

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La macchina da presa sta spesso attaccata ai volti, rivela le imperfezioni e la rabbia trattenuta. Ma in un film che da l'idea di voler eliminare proprio l'artificio della recitazione, si avverte invece tutta la scrittura e il lavoro preparatorio in Pierrette Robitaille e soprattutto in Romane Bohringer che sembra voler offrire un'ulteriore variazione rispetto all'iconicità pittorica di film come Rembrandt o il recente Renoir o all'impeto, violento e disperato di Notti selvagge.

Chiaramente quello di Vic + Flo ont vu un ours è l'esempio di un cinema che non vuole e neanche deve lasciarsi andare. Per questo non sono sincronizzati gesti improvvisi come uno schiaffo, un pianto o una rivelazione nascosta tra l'agente e Flo. Piuttosto è più interessante il lavoro che il regista fa su uno spazio mostrato come assente, sia che si tratti della strada che del bosco, o negli interni spesso abbastanza spogli, di passaggio temporaneo. I momenti più interessanti potevano essere proprio nell'esplosione della violenza improvvisa, ma poi nel cineasta sembra entrare in campo quell'astrazione alla Haneke sul modello di Funny Games che neanche sembra appartenergli. Per questo la struttura di un tipo di cinema che non è che (ci) faccia impazzire ma che era comunque estremamente coerente, viene contraddetta in un finale tra la vita e la morte, anzi oltre la vita che appare un azzardo troppo altro e dissolve la bellezza di un titolo alla Jacques Rivette.

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