BERLINALE 64 – Arrête ou je continue di Sophie Fillières (Panorama)
Il film non carica i toni drammatici ma gioca invece sulle forme di una commedia grottesca di invidiabile leggerezza, fatta di continui scatti nervosi, di diverse soluzioni nel dare forma al fraintendimento e mostra come la commedia francese, quando gioca di sponda, sa andare molto in profondita' senza farlo sentire. Ci riesce anche grazie alla bravura di una recitazione basata prevalentemente sugli impulsi del corpo di Mathieu Amalric ed Emmanuelle Devos.
Che cosa succede quando non riusciamo piu’ a parlare con gli altri e soprattutto alle persone che ci stanno piu’ vicino? Oppure quando ci e’ sempre stato difficile farlo e andando avanti con gli anni la situazione peggiora? E’ prevalentemente compresso nel dialogo del corpo questo sorprendente sesto lungometraggio di Sophie Fillières presentato nella sezione Panorama. Il film precedente, Un chat un chat del 2009 filmava il potere del linguaggio. Qui invece in Arrête ou je continue ne mette in luce la difficolta’che rasenta l’assenza.
Loro sono Pomme (Emmanuelle Devos) e Pierre (Mathieu Amalric). Il loro non e’ un matrimonio felice. Forse stanno insieme da troppo tempo. Che fare, troncare la relazione o andare avanti? Un giorno vanno a fare, come d’abitudine, una passeggiata nel bosco. Ma Pomme si rifiuta di rientrare con lui dopo una litigata. Prende con se’ maglione, k-way e zaino. E cosi’ sparisce.
Lavora molto sugli impulsi del corpo Arrête ou je continue, di una straordinaria Emmanuelle Devos (che aveva gia’ lavorato con la regista in Gentille del 2005) che e’ in continuo contrasto con gli oggetti (il quadro che si rompe, la mano sullo spremiagrumi) e sugli sguardi cercati e negati con un altrettanto bravo Mathieu Amalric. La cineasta non carica i toni drammatici, gioca su una commedia grottesca di invidiabile leggerezza, fatta di continui scatti nervosi, di diverse soluzioni nel dare forma al fraintendimento. Pomme e’ mostrato gia’ come un personaggio scomparso all’inizio del film. Proprio dal momento in cui sparisce veramente, gli altri si accorgono che non c’e’ piu’.
La Fillières mostra come la commedia francese, quando gioca di sponda, sa andare molto in profondita’ senza farlo sentire. Mette in gioco la crisi di coppia partendo gia’ all’inizio dallo stato della loro relazione. Ma anche quella del rapporto con l’altro. E in questo senso la capacita’ notevole di filmare le diverse forme del disagio e’ evidente nella scena in cui Pomme va a trovare il figlio, non lo trova e resta a parlare con la fidanzata del ragazzo. Se ne vorrebbe andare in qualunque momento e c’e’ solo un impulso, quello di cercare di salvare la forma, lápparenza, la trattiene.
Poi c’e’ un altro film. La sparizione nella foresta. Dal ritmo serrato della prima parte si passa a quello estremamente piu’ dilatato della seconda. Cambia completamente stile e proprio questa mancanza di omogeneita’ che lo rende sempre piu’ vibrante. Fughe, ritorni e ricerche che non si incrociano. Con Pierre anche lui da solo nel bosco. Sulle sue tracce. Con enorme ritardo. Ed e’ proprio nei loro movimenti mai in sincrono che nella coppia ognuno va per conto suo. Senza bisogno di parole. Ed e’ un piccolo miracolo.