BERLINALE 64 – Die geliebten Schwestern (Beloved Sisters), di Dominik Graf (Concorso)

beloved sisters

Il film è tutto giocato sulla scrittura come tramite febbrile tra i protagonisti. L'innamoramento e l'instaurazione del ménage con il codice segreto inventato per aggirare la "censura", gli accordi per gli incontri proibiti, i momenti più dolorosi, fino alla rabbia e alla freddezza: tutto passa attraverso le righe della corrispondenza tra il poeta e le due sorelle

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beloved sistersDominik Graf, regista tenuto in alta considerazione dai suoi compatrioti tedeschi, dopo anni di esilio televisivo (schilleriano) torna al cinema, tra l'altro affrontando lo sforzo produttivo di un grande storia in costume. Incentrata, per di più, sul grande poeta, monumento nazionale, Friedrich Schiller e sul suo rapporto con le sorelle Caroline e Charlotte von Lengefeld, il cui legame indissolubile le porterà a condividere tutto, anche l'amore del grande poeta. Almeno finché l'incantesimo non si spezza.

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Materia da appassionante mélo, ma anche potenzialmente riducibile alla piattezza calligrafica di uno sceneggiato televisivo. Del resto Graf calligrafico lo è sul serio, ma nel vero senso della parola. Gioca proprio sulla scrittura, la sua visualizzazione e materializzazione, come tramite febbrile tra i protagonisti. L'innamoramento e l'instaurazione del ménage con il codice segreto inventato per aggirare la "censura", gli accordi per gli incontri proibiti, i momenti più dolorosi, fino alla rabbia e alla freddezza: tutto passa attraverso le righe della corrispondenza tra il poeta e le due sorelle. E l'immagine sembra davvero tramutarsi nel foglio bianco su cui corre la penna, con la densità dell'inchiostro che denuncia i sentimenti, scivola via veloce o traballa fino a raggrumarsi in macchie di incertezza. Scelta necessaria, probabilmente, trattandosi di Schiller. Ma che riporta prepotentemente al cinema di Truffaut, ai suoi film "epistolari", Jules e Jim, Le due inglesi, Adele H, a quei magnifici dialoghi a distanza, a quei primi piani dei volti che declamano ciò che scrivono e quindi sentono.

 

E il riferimento a Truffaut è decisivo, proprio perché Graf sembra individuare nelle pieghe di questo ménage à trois un altro fallimento del desiderio, un'altra caduta rovinosa nell'inevitabilità del provvisorio e nell'insopprimibili esigenze del possesso amoroso. Sì, quella che racconta è una storia di sentimenti appassionati, di slanci puri che vanno oltre le convenzioni della società e l'occhio ha una sensibilità straordinaria nel cogliere l'ingenuità e l'istintiva vena ribelle degli amanti. Ma, alla fine, c'è anche la presa d'atto della precarietà di questa rottura degli schemi. Gli equilibri si ricompongono, estromettendo proprio quello che doveva essere il vertice del triangolo, Schiller, il poeta filosofo, che si ostinava ad accordare la vita alla verità dei propri sentimenti. Di fronte alla concretezza delle cose, restano immutabili solo i legami di sangue, l'altro triangolo composto da madre e sorelle. Una perfezione d'amore che il poeta può solo contemplare dall'angolo della sua grandezza.

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