BERLINALE 64 – Zwischen Welten (Inbetween Worlds) di Feo Aladag (Concorso)

inbetween worlds
La cineasta austriaca lavora sui rumori, sugli echi della guerra. Pensa di fare il suo 'the hurt locker' ma va completamente in tutt'altra direzione. Filma i luoghi come una giornalista-reporter con uno sguardo che non va neanche in superficie, ma cerca delle scene drammaticamente forti mantenendo lo sfondo del war-movie. Con questo sistema però inciampa maldestramente

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inbetween worldsCi sono ancora delle fughe nel cinema dell'austriaca Feo Aladag. Dopo quella della venticinquenne col figlio di Die Fremde, presentato alla Berlinale 2010 nella sezione Panorama, in Zwischen Welten ci sono quelle di Jesper, un soldato dell'esercito tedesco in missione in Afghanistan e di Tarik, un giovane interprete che deve fare da mediatore tra i militari arrivati e gli abitanti del villaggio. Il primo in qualche modo cerca di lasciarsi alle spalle il doloroso passato (il fratello morto in missione) proprio cercando di restare nell'esercito. L'altro invece non si riconosce in un paese in cui la sua vita e quella della sorella sono in continuo pericolo.  

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La Aladag lavora sui rumori, sugli echi della guerra. Pensa di fare il suo 'the hurt locker' ma va completamente in tutt'altra direzione. Se quello della Bigelow è un cinema prima di tutto sensoriale, questo invece lavora il suono (i silenzi, i passi, i fruscii) come elementi disegnati da una sceneggiatura in cui ci vuole mettere dentro di tutto: la condizione femminile (la sorella dell'interprete sgridata perché è arrivata tardi al lavoro e perché studia all'università), elementi thriller (la telefonata nella notte a casa di Tarik) e il tema del duplice sospetto (come l'Europa guarda verso l'Afghanistan e viceversa).

Forse i numerosi fischi ricevuti al termine della proiezione sono ingenerosi. Ma il cinema apparentemente nomade della cineasta, fino a questo momento, non ci appare come una reale esigenza. Filma i luoghi come una giornalista-reporter inviata sul campo ma poi ha bisogno di aprire e chiudere i singoli segnenti narrativi e risulta anche fin troppo semplicistico il modo con cui è costruito il rapporto tra il soldato e il giovane interprete. E' uno sguardo, quello della regista, che non va neanche in superficie, ma cerca delle scene drammaticamente forti mantenendo lo sfondo del film di guerra. Con questo sistema però inciampa maldestramente come in tutta la parte finale in cui si perdono, proprio da un punto di vista narrativo, i punti di partenza dei suoi protagonisti. E a questo punto anche le stesse esplosioni, più che squarci improvvisi, sono meticolosamente calcolate. La Bigelow, pure sotto questo aspetto, la pensa diversamente.

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