BERLINALE 65 – Als wir träumten (As We Were Dreaming), di Andreas Dresen

Un immenso trip allucinatorio in cui la violenza si ripete, declinata in tutte le sue forme e, senza propone alternative positive a questo orrore, accompagna i protagonisti nella loro lenta caduta

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 Nei primi anni ’90 a Lipsia si respira ancora la polvere del muro appena caduto, la DDR si è frantumata così come la sua ideologia, e la generazione dei piccoli pionieri cresciuti a pane e socialismo è allo sbando. Dani e i suoi amici di una vita Rico e Mark vivono la notte sfrecciando con l’auto per la città, con sangue saturo di alcol e droga e la musica techno sparata al limite dell’ascoltabile. Qualunque cosa pur di non pensare, pur di anestetizzare i sensi e dimenticare tutti i sogni infranti su quel muro, le grandiose promesse dei loro insegnanti ben indottrinati dal governo socialista e la vana speranza di un cambiamento.

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Il muro è crollato ma non è cambiato nulla. La città è ancora un misero sobborgo governato da piccoli assembramenti di teppisti neonazisti e non c’è la possibilità di scegliere una strada diversa, perché lo squallore risucchia tutti, anche quelli come Dani che tentano in tutti modi di reagire e di salvarsi. In questo scenario metropolitano estremamente cupo le nuove generazioni si fondono alla perfezione con gli edifici cadenti e la musica underground, e proprio a partire da queste risorse Dani e il suo seguito cercano di costruire un club guadagnarsi da vivere più o meno onestamente vendendo alcolici, ma anche questa strada gli è negata e l’unico risultato che ottengono è quello di scendere ancora più in basso nel loro inferno personale.

Nel suo sogno perduto di un socialismo ideale Dresen, che prende spunto da un romanzo di Clemens Meyer, non lascia spiragli di luce nel futuro delle nuove generazioni della Germania riunificata e le colloca in una realtà asfittica, agonizzante per la crisi economica e l’alto tasso di criminalità che devasta le strade. I giovani sono perduti, travolti dai costumi corrotti dell’Ovest e completamente sprovvisti di esempi da seguire. Nessuna ideologia, nessun modello politico o culturale può placare la loro sete di vita, solo l’alcol che scorre a fiumi e la musica che gli spappola il cervello. Dresen non propone alternative positive a questo orrore e accompagna i protagonisti nella loro lenta caduta, prolungando al massimo la loro agonia e indugiando cinicamente sulla decadenza inevitabile a cui vanno in contro scena dopo scena. La narrazione è dilatata come un immenso trip allucinatorio in cui la violenza si ripete, declinata in tutte le sue forme, e senza stimolare i personaggi al cambiamento, lascia addosso solo l’angoscia e la disperazione per un futuro caduto a pezzi insieme al muro.

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