#Berlinale2016 – 24 Wochen, di Anne Zohra Berrached

E’ proprio la ricerca dell’oggettività ad ogni costo che toglie valore al film, e lo fa fluire placidamente senza guizzi d’ingegno, accarezzando un’estetica quasi televisiva. In concorso

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24 settimane e poi la famosa attrice comica Astrid darà alla luce il suo bambino. Le luci del palcoscenico sono tutte puntate sul suo pancione fasciato dai lustrini e il suo pubblico è eccitatissimo all’idea di conoscere il nuovo erede della star. Anche nella sua famiglia l’attesa è alle stelle. Il marito Markus, che le fa anche da manager, non l’ha mai amata e coccolata così tanto e la sua figlioletta di cinque anni non vede l’ora di conoscere il suo nuovo fratellino. In questo momento Astrid non potrebbe chiedere di più alla sua vita, perché tutto è perfetto, come in una rivista patinata. Ma l’idillio non è destinato a durare per molto, e quando la donna scopre che il bambino che aspetta è affetto dalla sindrome di Down, precipita dal paradiso all’inferno.

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In Germania la legge consente di interrompere la gravidanza fino al nono mese, nel caso in cui il bambino sia affetto da patologie gravi, e questo concede ad Astrid e a suo marito la possibilità di scegliere liberamente del loro destino e di quello del loro bambino. Il tempo per decidere e illimitato e nessuno li giudicherà per la loro scelta, giusta o sbagliata che sia, ma la responsabilità di dare la vita o la morte alla loro creatura li mette inevitabilmente in crisi. C’è più egoismo nel portare avanti una gravidanza a rischio, consapevoli che il nascituro non avrebbe una vita serena, o nel pensare alla propria serenità?

Anne Zohra Berrached nel suo film non risponde a questa domanda, perché in effetti non esiste una risposta giusta o sbagliata, ma affronta il tema dell’aborto con estrema cautela, rimanendo lucida nella sua descrizione quasi documentaristica di tutte le fasi che affronta la coppia fino a prendere la fatidica decisione. In alcuni casi indugia con un’ossessione quasi pornografica sui dettagli più macabri della vicenda, ma senza l’intenzione di condizionare il pubblico cadendo in facili giudizi moralistici. Il suo unico obiettivo è quello di entrare in questo piccolo nucleo familiare sviscerando ogni dettaglio, anche il più intimo, del dramma dei protagonisti dalla vita, alla morte, alla vita. Ma è proprio la ricerca dell’oggettività ad ogni costo che in un certo senso toglie valore al film, e lo fa fluire placidamente senza guizzi d’ingegno, accarezzando un’estetica quasi televisiva.

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