#Berlinale2016 – Chi-raq, di Spike Lee

Una prima parte che sfiora il capolavoro, in un musical che attraversa il Mito attraverso la rivisitazione de La Lisistrata di Aristofane. Fuori concorso

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“No Peace No Pussy”. Torna Spike Lee e stavolta è davvero incazzato. Lo fa con una rivisitazione della Lisistrata di Aristofane trasportandola nella lotta tra le gang rivali di Chicago. Il plot prende avvio proprio dall’omicidio di una bambina che porta un gruppo di donne a organizzarsi contro la violenza in città. Un narratore, Samuel L. Jackson, che attraversa lo Spazio, come una sorta di grllo parlante che arriva dalla mitologia greca e che si è provvisoriamente reincarnato. Non è umano non è un Dio. Solo una provvisoria materializzazone cartoon, in un film che parte speditissimo, pieno di rabbia, già dai fulminanti titoli di testa dove Chi-raq già si muove a ritmo di rap. Il titolo è la fusione di Chicago e Iraq e mostra come nella città statunitense dall’inizio degli anni 2000 il numero degli omicidi (7356) è maggiore anche mettendo insieme i caduti in Afghanistan e in Iraq.

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angela bassett in chi-raqContinuamente spezzato, tra tendine, split-screen, nelle manifestazioni femminili in India, Santo Domingo, Grecia, Pakistan, Giappone, Stato di Brooklyn a New York. E i movimenti musical di quei melodrammi di quartiere newyorkesi, più Clockers e Crooklyn che Fa’ la cosa giusta e il senso dello spettacolo di Bamboozled. Ci sono dei movimenti coreografici che si spingono in avanti, che frantumano lo schermo, che arrivano addosso. Con una potenza trasinante che Spike Lee non ritrovava da un po’. La musica che muove il cinema. Il cinema che muove la musica. Come in uno dei suoi ultimi capolavori, il Bad 25 su Michael Jackson. E dove la parola diventa ritmo, rima, motore per una disperazione/recitazione come nella scena del funerale dove il predicatore John Cusack fa un nuero di altissima scuola.

teyonah parris in chi-raqFino all’arrivo della metro a Chicago, che taglia in due la città, tra i grattacieli e la orsa Chi-raq sfiora il capolvoro. Poi Lee non controlla il suo film del tutto. Lascia che il Mito entri nella modernità, senza un totale equilibrio in una parte che nel suo essere smembrata, disarcionata, mantiene una sua energia.

“No Peace, No Pussy”. Come un Bulli e pupe rivisitato, con un set spoglio, con numeri volutamente fuori controllo, che culminano nell’ammasso delle pistole, chiusura degli iniziali spari durante un concerto dove nel fermo-immagine del pubblico restano solo le sagome. Da lì però ogni corpo ha una sua potenza, soprattutto nelle scene della madri di massa. Che non si fermano, arrivano addosso come un treno a tutta velocità. Fuck You World!

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