#Berlinale2016 – Mahana (The Patriarch), di Lee Tamahori

Un padrino in salsa maori che sa di fasullo. Dove il regista neozelandese tralascia anche il buon mestiere imparato ad Hollywood. Fuori concorso

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Un padrino in salsa maori. Mescolato a un racconto di iniziazione in cui potrebbero rintracciarsi anche i ricordi del cineasta neozelandese, quasi un personale viaggio nella memoria. Che in The Patriarch però sa di fasullo. E questo ritorno a casa di Lee Tamahori, che si era imposto all’attenzione con il suo film d’esordio, Once Were Warriors del 1994, ha come il sapore di un’operazione annacquata, dai tratti forzati, dai colori che vorrebbero essere evocativi e invece sanno tanto da cinema d’esportazione.

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Ambientato in Nuova Zelanda nel 1960, The Patriarch vede la contrapposizione di due famiglie rivali, i Mahanas e i Poatas. Nella prima di questa il quattordicenne Simeon, si ribella all’autoritarismo del nonno Tamihana e inizia a svelare i motivi di questa lunga faida. E quelle gerarchie che sembravano da tempo consolidate, etrano nel caos.

the patriarchIl tono dell’avventura epica appare quanto mai estranea al cineasta. Che guarda ad Edward Zwick ma finisce dalle parti di Bruce Beresford. Perché il cinema hollywoodiano ha dato al regista il ritmo ma gli ha tolto quella sua iniziale sporcizia. E questo, di per sé, non è un male. Ma in The Patriarch mancano entrambi e questo si vede soprattutto nella gara di tosatura delle pecore o anche nella gara tra le auto iniziale. Sguardi colmi d’odio, rivalità, incidenti domestici. Tutta la materia di una soap anche pigra, non rivitalizzata neanche dall’entrata del cavallo durante la proiezione al cinema di Quel treno per Yuma di Daves. Quasi uno squario western in un film alla ricerca di una collocazione dentro le zone del filone avventuroso. Che non vuole rinnegare neanche la tradizione come nel momento della nonna che canta davanti le api. Tamahori non trova mai il tono giusto ed eccede in ogni direzione. Dimenticandosi quelle tracce di buon mestiere che avevano segnato in parte il suo 007, La morte può attendere, e soprattutto Nella morsa del ragno.

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