#Berlinale2016 – Where to Invade Next, di Michael Moore

Uno sguardo inquinato, senza aperture, quasi cieco davanti a quello che mostra dove la parte italiana è completamente sfasata. Solo un’invasione non del tutto autorizzata. A Berlinale Special

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Si, è un’invasione quella di Michael Moore. Di un cinema dove l’inchiesta diventa di colpo un insieme di luoghi comuni, un viaggio attraverso l’Europa del Welfare (Italia, Francia, Germania, Norvegia, Finlandia, Slovenia, Portogallo e Islanda) passando anche per la Tunisia dove il regista-narratore-giornalista gioca a ping pong su un continuo rimbalzo mostrando le differenze su come alcune questioni politiche e sociali vengono trattate in questi paesi rispetto agli Stati Uniti. Si passa così dall’educazione alimentare sin dai primi anni di scuola alle rette universitarie, dalla situazione dei detenuti nelle prigioni al fermo rifiuto della pena di morte anche da parte dei poliziotti. Fino alla situazione femminile mostrando la conquista dei diritti della donne dopo la rivoluzione in Tunisia del 2010-2011 culminato con l’articolo 46 del 2014 e prendendo a modello l’Islanda dove al potere ci sono essenzialmente donne tra cui Vigdís Finnbogadóttir, prima donna al mondo ad essere stata eletta democraticamente Presidente della Repubblica e rimasta in carica dal 1980 al 1996.

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where to invade next Il cinema di Moore ha perso completamente la bussola. Dispersa quella lucidità di Bowling a Columbine e Sicko, dove affrontava la questione delle armi e la sanità o quella carica arrabbiata di Fahrenheit 9/11, ha spesso trasformato la carica corrosiva in siparietto comico. Basta vedere il modo in cui guarda l’Italia. Sembra quasi uno spot al governo. Dove tutti hanno il lavoro, tredicesime e ferie pagate, dove i proprietari delle fabbriche (come Lardini per gli abiti o Ducati per le moto) hanno a cuore la felicità dei dipendenti. Della crisi o disoccupazione giovanile non c’è l’ombra. Siamo rimasti a Vacanze romane condite con le note di Nel blu dipinto di blu. O in Francia dove i bambini sono così attenti alla loro salute alimentare che rifiutano la Coca-Cola o cuochi che non hanno mai magiato hamburger.

where to invade nextWhere the Invade Next è tutto costruito sull’invasione del Moore-pensiero. Lui ha i suoi teoremi e per dimostrarli sceglie proprio le persone che possano dire quello che il cineasta vuole sentire. Non manca neanche l’ammirazione per la Germania per il modo in cui molti tedeschi si sono posti contro i crimini nazisti (con l’utilizzo anche dello spezzone di Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl) mentre negli Usa non c’è neanche un museo sulla schiavitù. E risulta anche abbastanza criminosa l’intervista al padre di uno dei 54 ragazzi assassinati in Norvegia da Anders Breivik nel 2011 in cui perdona l’assassino di suo figlio, ma dove manca totalmente quella complicità con i parenti delle vittime che era invece presente in Fahrenheit 9/11.

Ci potevano essere più film. Moore è andato invece a caccia di scoop. Più piccoli che grandi. Cibandosi dell’attualità imminente e ponendo ogni volta la bandiera statunitense nel posto dove è stato. La bandiera a stlle e strisce riflette sui suoi occhiali. E lo sguardo è inquinato, senza aperture, quasi cieco davanti a quello che mostra e intervistando spesso anche personaggi poco interessanti come le tre donne in Islanda sul finale.

Delle due l’una. O Moore sceglieva di fare un documentario o un fim di finzione. Non sta né da una parte né dall’altra. E pur essendo aperti a ogni forma di contaminazione e variazione del genere, vedere come Moore smembra il documentario in Where to Invade Next ci appare un’altra pericolosa invasione. Stavolta non del tutto autorizzata.

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